Nelle trincee del primo grande conflitto del Novecento non solo si sparava e si moriva. Lungo i camminamenti, tra i soldati c'era chi aveva un'arma in più per descrivere e affrontare la paura, la tensione, le privazioni. Una matita o un carboncino, qualche colore, una punta per incidere, erano gli strumenti per dare forma ai sentimenti. A questi artisti in divisa nel centenario della fine di quella tragedia immane è dedicata la mostra "Cicatrici, le lacerazioni della Grande Guerra nelle opere riscoperte dei soldati", a cura della storica dell'arte Carol Morganti e dello scrittore Dario Malini, dal 4 novembre al 2 dicembre nel Museo dell'Arte in Ostaggio (Maio), a Cassina de' Pecchi, nel milanese.
Cinquanta opere tra schizzi, disegni, oli, acquarelli, incisioni e litografie, raccontano i segni lasciati dalla "inutile strage", gli sfregi visibili e invisibili che hanno straziato corpi e menti dei giovani chiamati a combattere, il luoghi delle battaglie. L'esposizione si concentra su sei artisti, il tedesco Fritz Gartner, lo svizzero Charles Harder, i francesi Maurice Le Poitevin e Henri Desbarbieux, il belga Henry De Groux e l'italiano G. Focardi. Di quest'ultimo, di cui al di là della firma non si è riusciti a sapere nulla, sono esposti dieci disegni di scene di feriti in un ospedale militare.
Le litografie di Harder documentano la "strana la guerra mai combattuta" lungo le frontiere che la Svizzera aveva rinforzato per evitare sconfinamenti degli scontri. Le Poitevin combatté dal '14 al 18 su due fronti tragici e cruciali, Verdun e La Somme. Desbardieux, in 14 acqueforti, descrive i dieci mesi di battaglie nel 1916 nella rete sotterranea di trincee di Verdun, il 'tritacarne'. Degroux, che non era in età per combattere, fu un testimone in molti luoghi del fronte occidentale. Gartner, autore di acqueforti, fu impegnato nelle Fiandre e nei Balcani. Ad accompagnare il visitatore, le parole di Italo Svevo. Dopo il ritrovamento di una "rimarchevole fonte letteraria ignota" de La coscienza di Zeno, un saggio contribuisce "a un ripensamento profondo sui significati dell'ultimo romanzo dello scrittore triestino, il cui messaggio non può essere inteso senza tener conto degli eventi del conflitto". "La mostra è un invito a ragionare sulle grandi cicatrici lasciate dalla guerra - dice Malini -. E' importante far capire quell'evento ed evitare che si ripeta, soprattutto oggi che siamo alle soglie di eventi disastrosi. Bisogna far tesoro della lezione al di là dei nazionalismi".
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