L'espressione sognante del volto bellissimo di Gesù, con la mano che stringe la corona di spine, la spugna e la corda e il braccio che forte sorregge il peso della croce, nella rappresentazione simbolica della passione e della redenzione. E' la storia di un ritrovamento eccezionale quella del "Cristo portacroce", capolavoro dipinto da Giorgio Vasari nel 1553, che dal 25 gennaio al 30 giugno sarà esposto per la prima volta al pubblico dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica nella sede di Galleria Corsini a Roma. Il quadro, che l'artista aretino realizzò per il banchiere e collezionista Bindo Altoviti mentre era a Roma al servizio di papa Giulio III, viene dunque restituito alla collettività dopo esser stato considerato a lungo ormai irrimediabilmente perduto.
Della sua storia nel corso dei secoli si sa poco: acquistato dai Savoia, nel '600 molto probabilmente finì in Francia e poi se ne sono perse le tracce. Fino ai nostri giorni, con la fortunata scoperta durante un'asta di provincia, svoltasi ad Hartford (Usa), e l'identificazione avvenuta grazie all'intuizione di Carlo Falciani, esperto studioso di pittura vasariana.
Osservando una foto, Falciani ha infatti riconosciuto il "Cristo portacroce" identificandolo nel quadro registrato da Vasari nel proprio libro delle Ricordanze. Il pittore così ne scriveva: "Ricordo come a dì XX di maggio 1553 Messer Bindo Altoviti ebbe un quadro di braccia uno e mezzo drentovi una figura dal mezzo in su grande, un Cristo che portava la Croce che valeva scudi quindici d'oro". Il collezionista americano che l'ha acquistato all'asta (la cifra non è stata resa nota) ha permesso che il quadro arrivasse in Italia per essere esposto a Roma, città dove venne realizzato da Vasari poco prima di partire per Firenze. Oltre alla sua bellezza indiscutibile, il "Cristo portacroce" testimonia un momento importante dell'attività romana di Vasari nonché il suo fertile rapporto con Altoviti, prototipo dell'uomo rinascimentale, dedito alle arti e agli affari, che gli commissionò vari lavori. Vasari fu ospite di Altoviti che lo incaricò di eseguire il Cristo portacroce nel 1553 e nella residenza romana del banchiere l'artista affrescò anche la loggia con il "Trionfo di Cerere" (unica decorazione sopravvissuta all'incendio del palazzo nel 1888 e poi ricollocata a Palazzo Venezia nel 1929). Poco dopo Vasari partì per Firenze, al servizio di Cosimo I de' Medici, nemico acerrimo di Bindo Altoviti.
"Quando ho visto la foto del quadro mi è venuta in mente la citazione delle Ricordanze", spiega oggi Carlo Falciani, "spesso le opere d'arte restano al buio e se non si comprendono perdono significato. Anche la comprensione delle opere è una forma di tutela". "Nell'immaginario collettivo Vasari è un pittore farraginoso e noioso, che ha un approccio retorico nella costruzione del discorso pittorico", prosegue, "ma questo è un capolavoro dal gusto curiosamente retrò, perché qui Vasari guarda a Sebastiano del Piombo. Lo si vede nel volto sognante di Cristo. La sua figura è portatrice della redenzione, in un quadro che è simbolico e non narrativo". "Questo dipinto rapisce per la sua bellezza ma ci permette anche di proseguire nel lavoro di mettere in luce tanti aspetti del collezionismo. La scoperta, il mercato e la ricerca sono al centro della nostra programmazione", spiega la direttrice delle Gallerie Nazionali Flaminia Gennari Sartori, sottolineando il pregio di un "allestimento intimo, che gode anche della nuova illuminazione della Galleria".
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