"Non mi candido per la direzione degli Uffizi". Intervistato dall'ANSA, lo storico dell'arte Tomaso Montanari smentisce i rumors che lo danno in pole position per la successione a Firenze di Eike Schmidt. Per due ragioni, spiega: "La prima è che disapprovo radicalmente la riforma Franceschini, la seconda è che non sono e non sono mai stato alla ricerca di altri lavori". Mentre punta il dito sui musei "oggi in mano alla politica" e si dice incompatibile, stante la situazione attuale, a dirigerne uno.
Toscano, intellettuale militante, da anni impegnato sui temi della Costituzione, della difesa del paesaggio, della gestione della cultura e la tutela dei beni comuni, il professor Montanari è uno che di solito non si tira indietro. Dalle aule dell'università, dov'è ordinario di arte moderna, esce spesso e volentieri con il pallino di raccontare opere e autori a un pubblico sempre più vasto, dalla tv ai quotidiani. Ama citare un suo grande predecessore, lo storico Roberto Longhi ("Gli storici dell'arte devono essere popolari, condividere la loro conoscenza con tutti") e in qualche modo lo attualizza, scrive, interviene, twitta. Suscitando consensi, ma anche e di più critiche roventi.
Una frase presa da un suo libro è stata scelta quest'anno per il tema della maturità. Quasi contemporaneamente però un suo giudizio fuori dal coro su Zeffirelli e Oriana Fallaci lo ha visto al centro di una polemica feroce, oggetto di un duro botta e risposta con il vicepremier Matteo Salvini ma anche degli strali di molti esponenti pd.
Sulla questione degli Uffizi, di cui è da poco uno dei membri del comitato scientifico, è rimasto per settimane in silenzio mentre il suo nome circolava, evocato qua e là, da alcuni dato anche per certo come prossimo direttore al posto del tedesco Schmidt, il cui mandato si conclude in autunno. "Mi pareva francamente assurdo" , risponde lui oggi, "mi sembrava di dover commentare il nulla. Poi però, visto il moltiplicarsi degli articoli sui giornali e visto anche il conseguente moltiplicarsi degli attacchi nei miei confronti, mi sono scocciato".
Da qui la decisione di smentire. Cercando di rilanciare i temi che da sempre gli stanno a cuore: "Il vero fronte su cui è necessario impegnarsi è la partita per la tutela del patrimonio -dice - quel patrimonio diffuso e fuso con l'ambiente di cui parlo nel brano che è stato scelto per la maturità. E che cerco di servire come presidente del comitato scientifico per le Belle Arti: al Mibac, ma di nomina universitaria". I musei, aggiunge tranchant, "sono in mano alla politica. Lo prova il senso comune che ormai si è consolidato: nei giornali si legge che sarei 'in pole position' non per i miei studi di storia dell'arte o per le mie riflessioni sul patrimonio e sui musei, ma perché 'vicino ai grillini'. A parte il fatto che sono semmai vicino a una sinistra che non c'è, è pazzesco che si dia ormai per scontato che i Beni culturali, come la Rai, siano soggetti a manuale Cencelli e lottizzazione".
Il posto nel consiglio scientifico degli Uffizi, sottolinea, "l'ho accettato perché non ha retribuzione né potere: è un posto dove esprimere motivato e leale dissenso, in scienza e coscienza. Il ministro Bonisoli me l'ha chiesto per garantire una visione opposta a quella di Franceschini-Schmidt". Contrario alla riforma Franceschini, più che critico sull'accorpamento annunciato da Bonisoli tra Uffizi e Gallerie dell'Accademia, che senza giri di parole definisce "demenziale". Tant'è, il professore rivendica il dissenso e si ribadisce non interessato a candidature e poltrone: "Si può fare politica fuori dai palazzi, anzi si deve", ripete. No agli Uffizi, quindi, o ad altri musei. Cita Pasolini quando nel '74 scriveva "il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili, in Italia". Nel 2019, sorride amaro, "il coraggio intellettuale della verità è incompatibile anche con la direzione di un museo".
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