Gagliardetti con il teschio e camicie nere, drappi, labari, cimeli, fotografie, la divisa di rappresentanza di un ambasciatore che alla fine fece parte però del Comitato Nazionale di Liberazione, le bandiere rosse conservate a memoria delle incursioni squadriste nelle sedi del partito socialista o nelle camere del lavoro. Portata via probabilmente pezzo pezzo dall'Archivio di Stato di Roma, che un mese fa ne aveva denunciato la scomparsa, è stata ritrovata nei carabinieri dei beni culturali nell'abitazione di un collezionista romano, la collezione che fu alla base della Mostra della Rivoluzione Fascista, roboante kermesse allestita dal regime per celebrare i dieci anni della Marcia su Roma. Il giallo non è ancora del tutto risolto, i carabinieri del reparto operativo guidati dal tenente colonnello Nicola Candido, coordinati dalla Procura di Roma, sono al lavoro per far luce sulla dinamica della vicenda e inchiodare i responsabili del furto e i ricettatori, anche la versione fornita dal collezionista, rimane al vaglio del procuratore. Ma intanto una larghissima parte della collezione ospitata dall'Archivio di Stato - 1065 pezzi secondo un inventario del 2018 - è stata recuperata e verrà riportata al suo posto, tasselli della narrazione degli eventi fondativi che il regime affidò agli inizi degli anni trenta ai progettisti più affermati, nomi di super spicco come Terragni, Libera, Sironi. Ideata da Dino Alfieri nel 1928, la Mostra della Rivoluzione fascista venne inaugurata in pompa magna nell'ottobre del 1932 in un Palazzo delle Esposizioni completamente rinnovato per l'occasione proprio dagli architetti Adalberto Libera e Mario De Renzi. Al piano terra 19 sale, ognuna delle quali affidata ad un grande nome dell'arte o della cultura, aveva il compito di narrare l'epopea del regime, con modernissimi allestimenti e grande abbondanza di testimonianze storiche, artistiche, letterarie. Fondamentali in questo contesto i cimeli , dalla stampella di Enrico Toti (che non faceva parte della collezione rubata dall'Archivio di Stato) all'elica dell'apparecchio su cui volò Francesco Baracca (di cui non si ha più traccia da tempo) e naturalmente tutti gli oggetti le bandiere, le divise della Marcia su Roma. Nei filmati dell'Archivio Luce c'è ancora la cronaca dell'inaugurazione , con un Benito Mussolini in divisa militare e kepì che arriva in via Nazionale accolto da due ali di folla adorante, sale le scale del palazzo apprezzando compiaciuto il muro di braccia distese nel saluto romano, perlustra con fare militare, lui solo alla guida di un lungo corteo, le imponenti sale della mostra. Il fasto di quei giorni, raccontano le cronache, venne replicato in tono leggermente minore nel 1937 e poi nel 1942, questa volta alla Galleria nazionale d'arte moderna, dove la rassegna, divenuta permanente, avrebbe dovuto trovare una sede definitiva. Cosa però che non avvenne mai. Nel '43, dopo l'8 settembre , l'allora segretario Pino Stampini, curò una selezione del materiale e lo fece stipare in 24 casse inviate a Salò. A Roma rimasero invece i circa 17 mila volumi e tutte le riviste, troppo ingombranti da trasferire. Nel '45, tutte le 24 casse, che mai erano state aperte dai repubblichini, furono ritrovate rispedite a Roma, dirette all'archivio del Regno, oggi Archivio Centrale dello Stato. Molti pezzi, sottolineano oggi gli investigatori, sono andati perduti nel difficile biennio tra il 43 e il 44, altri nell'immediato dopoguerra, ma per il mercato dei collezionisti e dei nostalgici, ognuno di questi cimeli, sia un gagliardetto con il teschio e magari il nome dello squadrista, sia una camicia nera o un drappo rosso strappato gli operai socialisti, può avere un valore anche di migliaia di euro. Tant'è, il collezionista romano che se ne era assicurato quasi un migliaio, aveva forse ottenuto un prezzo all'ingrosso. Alla fine comunque, stando almeno a quello che è trapelato del suo racconto, avrebbe investito nell'affare diverse decine di migliaia di euro. Pare fosse convinto che si trattasse dei pezzi andati perduti nel '43. .
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