Trincee scavate tra le rovine dei templi, casematte allestite all'interno delle mura millenarie, forse anche mine inesplose. Devastato da anni di occupazione delle milizie irregolari dei ribelli di al-Qaeda, è stato liberato dal governo di Damasco, in Siria, il Parco archeologico di Ebla, la millenaria città scoperta nel 1964 dall'archeologo italiano Paolo Matthiae, le cui vestigia potranno ora essere messe in sicurezza per riprendere le ricerche in quella che viene riconosciuta come una leggenda dell'archeologia mondiale, la più importante scoperta dell'ultima metà del Novecento. Lo annuncia all'ANSA il celebre archeologo, direttore emerito del progetto di ricerca, che proprio questa sera riceverà a Naxos un premio per la Comunicazione dell’Antico, un progetto del Parco Naxos in collaborazione con Naxoslegge.
A giorni, anticipa l’archeologo della Sapienza, alcuni esponenti della Missione italiana torneranno per la prima volta dal 2010 nel sito a Tell Mardikh, 55 chilometri a sud di Aleppo, per mettere in sicurezza il frutto di 47 anni ininterrotti di scavi e riprendere il lavoro là dove ci si era interrotti ormai 12 anni fa. "Per il ripristino dei cantieri serviranno almeno tre anni, ma anche fondi adeguati", avverte Matthiae, che dopo essersi speso senza sosta per tenere viva l'attenzione sul patrimonio culturale siriano ferito da guerre e terrorismo, lancia ora un appello alla Sapienza di Roma e alla Farnesina perché garantiscano "tutti gli stanziamenti necessari".
Eppure la sua riscoperta è stata di quelle che cambiano la storia, soprattutto dal 1975 quando gli scavi hanno riportato alla luce quasi intatto l'Archivio Reale del 2350 a C., la sua fase più antica, con 17 mila numeri di inventario di tavolette scolpite a caratteri cuneiformi che costituiscono un tesoro inestimabile di informazioni sulla cultura e sulla lingua, sui commerci, i matrimoni, la giustizia, i rapporti con gli altri popoli amici e nemici. In tutto originariamente 5mila testi, che in questi anni di assenza dalla Siria la Missione italiana ha schedato, studiato, pubblicato in larga parte. E che raccontano di un regno potente e temuto, insediato in un'area nevralgica fra la Mesopotamia e l’Egitto.
Una città distrutta e rinata per tre volte nell'arco di 900 anni, le cui mura abbracciavano un perimetro di 50 ettari - poco meno di quella che sarà tanti secoli più tardi Pompei - con palazzi, templi, tombe, fortificazioni. E la cui riscoperta ha avuto tra l'altro il merito di restituire alla Siria un'identità storica antichissima di cui essere orgogliosa. "Un sito archeologico che avrebbe ancora tanto da offrire", sottolinea Matthiae, se si pensa che ne è stato scavato solo il 10 per cento. Tant'è, negli anni di stop, gli esperti dell'Ateneo romano si sono concentrati sullo studio e la pubblicazione dell'immensa mole di testi cuneiformi e dei materiali archeologici, alcuni preziosi e rarissimi, come una mazza iscritta con il nome di un faraone di cui non era mai stato trovato un esemplare nemmeno nelle ricchissime tombe egiziane.
L'ansia però rimane per il destino di molti di questi favolosi reperti, tra cui migliaia di tavolette, conservate nel museo della vicina Idlib, ancora sotto occupazione turca. Qui i saccheggi sono stati violenti: "Abbiamo la certezza che almeno alcune tavolette sono state trafugate o distrutte", dice Matthiae. Un tesoro che per fortuna era stato interamente fotografato e schedato tanto che la documentazione è già nelle mani dell'Interpol. Con un po' di fortuna, chissà, le tavolette potrebbero ricomparire sul mercato antiquario. Matthiae allarga le braccia e guarda avanti. "La cosa più importante è che dopo tanti anni di silenzio e distruzioni, per Ebla sta iniziando la rinascita".
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