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Il jihad nel film Timbuktu, candidato agli Oscar

Il jihad nel film Timbuktu, candidato agli Oscar

La città del Mali e l'integralismo islamico nel racconto di Abderrahmane Sissako

18 gennaio 2015, 13:05

Francesco Gallo

ANSACheck

film Timbuktu. - RIPRODUZIONE RISERVATA

film Timbuktu. - RIPRODUZIONE RISERVATA
film Timbuktu. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Se non ci fossero i telefonini e qualche fuoristrada e moto ci potremmo trovare nel Medioevo. Case di fango, cammelli e deserto. Cosi' e' la Timbuktu racconta da Abderrahmane Sissako, nel film piaciuto molto a Cannes e che ora è in corsa per gli Oscar. Timbuktu, citta' antica piena di storia, ma anche della violenza dell'integralismo islamico (tra cui la lapidazione) di cui tanto si parla in questi giorni.

Siamo nella citta' regina del deserto, patrimonio dell'umanita' e avamposto dell'antico impero maliano. Citta' di origine Tuareg e poi di un Islam aperto e colto, da qualche anno nelle mani dei gruppi integralisti che vi hanno imposto la legge della Sharia. Qui ai margini di questa citta' dove tutto e' proibito (fumare, sentire e suonare musica, fare sport, girare a capo scoperto, vendere pesce senza coprirsi le mani con dei guanti), vive una coppia felice e libera da pregiudizi che spera di non incorrere nelle censure religiose. Ovvero quella composta dal pastore Kidane (otto vacche all'attivo e la passione della musica) e della bella moglie e figlia.

Un giorno pero' Kidane uccide, per vendicarsi, un pescatore che gli ha portato via la vacca piu' fertile. E cosi' entra in tunnel di terrore, a volte grottesco, messo in atto da uno sparuto gruppo di jihadisti ottusi e fragili per loro convinzioni spesso solo frutto di errate interpretazioni della legge coranica. Ispirato a una storia vera accaduta nel 2012 con protagonisti una coppia di islamici colpevoli solo di non essere sposati (un delitto contro la legge divina) che furono sotterrati (con la sola testa fuori) prima di venire lapidati davanti a centinaia di persone.

Una cosa che ha avuto un certo rilievo mediatico e ha anche ovviamente motivato Sissako nel realizzare questo film. Il regista, da anni impegnato in battaglie condotte in prima persona per l'affermazione culturale della sua gente, dedica il film a "tutti coloro che si battono per una societa' piu' umana e piu' giusta". E aggiunge: quello che io voglio fare e' dare la mia testimonianza di filmaker. Perche' non sarei mai capace di dire io non sapevo. Raccontare una storia nella speranza che nessun bambino debba imparar questa stessa lezione nel futuro. I genitori della mia storia sono morti solo perche' si amavano l'un l'altro".

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