Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, la coppia di registi milanesi che con il documentario Spira Mirabilis sono in gara per il Leone d'Oro, sono consapevoli: ''Lo spettatore deve accettare di entrare in questo film, una volta che ha detto sì la strada è facile, per niente ostica'', dicono. Infatti, è la cosa principale: contemplare lungamente una medusa piccola come uno spillo mentre il ricercatore giapponese Shin Kubota la studia immerso nell'acqua dell'oceano, ascoltare all'infinito l'onda sonora che emette uno strumento in metallo che una coppia di musicisti inventori Felix Rohner e Sabina Scharer creano come fosse una scultura - due delle 5 storie che segue il film - significa lasciarsi andare ad un'esperienza poetica e affatto astratta. In un tempo frettoloso, saturo di dati, poco attento al senso della vita, guardare immagini di questo genere può essere un atto di coraggio.
Lo stesso di Paola Maranga di Rai Cinema che con Montmorency Film e Lomotion ha prodotto il film, lo stesso di I Wonder Pictures che in 20 copie lo distribuirà in sala, lo stesso dei selezionatori di Venezia che lo hanno messo in concorso. ''Il pubblico - dicono in un'intervista all'ANSA i registi che si autodefiniscono 'fuori standard' - non è un monolite ma sono persone, siamo noi tutti. Il cinema è vario, il cinema sono i film, che belli o brutti, sono lo specchio di quello che vogliamo guardare e cercare''. Con Herzog, Tarkowski tra le fonti di ispirazioni il film di D'Anolfi e Parenti ''è un'esperienza emotiva'' con al centro un tema fondamentale ''l'immortalità'', per raccontare la quale sono andati a pescare ai quattro angoli del mondo storie sconosciute originali, bislacche, simboliche ma verissime.
''Volevamo cercare la parte migliore degli uomini proprio in un tempo come questo in cui sembriamo averla smarrita. Viviamo un momento in cui non c'è da essere ottimisti ma c'è una minoranza resistente e anche ciascuno di noi può esserlo se si guarda dentro e non la soffoca. Resistenza, rinascita, rigenerazione sono gli ambiti di questo film che non racconta eroi ma persone, comunità, che nella quotidianità tenacemente aspirano a lasciare se stessi nel tempo e qualcosa di migliore''. La scintilla è stata la medusetta immortale - che lo scienziato giapponese oggi in un'ampolla ha portato a Venezia - oggetto di un articolo del New York Times, poi è arrivata la storia dello strumento magico oggetto di culto che i due musicisti/alchimisti realizzano a mano, pezzi unici con un suono ancestrale (non sono più in vendita nonostante 25 mila lettere arrivate ai due da tutto il mondo, ''madri che volevano salvare i figli dall'eroina piuttosto che santoni indiani'') e poi le altre, come il cimitero delle statue del Duomo di Milano (''un piccolo purgatorio, o si restaurano o diventano calco per copie''). Tutto insieme è un affresco, ''un inno alla ricerca del meglio di se stessi'', dicono D'Anolfi e Parenti e anche ''all'etica del lavoro, quotidiano, appassionato, artigianale, fuori da logiche industriali, da standardizzazione''. Un po' come il loro cinema indipendente. ''Il cinema come 'prodotto' non ci interessa, non vogliamo compiacere lo spettatore, crediamo ad un pubblico spesso migliore di quello che si vuole far credere e l'indubbio appiattimento culturale che viviamo è dovuto anche a questo, per noi contano le persone''. Essere in concorso con un film così? ''E' un segno di apertura e ne siamo felici''.
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