Non c'è solo il leggendario sciovinismo francese a guidare quest'anno le scelte di Charles Tesson e del comitato di critici che porta alla ribalta di Cannes nella Semaine de la Critique sette opere prime, accompagnandole con la bella conferma italiana di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (SICILIAN GHOST STORY) per la serata d'apertura fuori concorso. Il fatto è che la politica culturale francese impegna da ormai molto tempo produttori, televisioni, finanziatori e tecnici a cercare il meglio a tutte le latitudini. Si tratta di lungimiranza industriale ancor prima che di apertura culturale: entrando in tante produzioni a costi contenuti, cercando talenti senza barriere geografiche, il cinema francese rafforza la sua attrattiva, alimenta l'indotto e porta a casa premi e opportunità di successo.
Così dei film in concorso ben quattro battono anche bandiera transalpina benché solo due registi siano effettivamente francesi; ad essi si aggiungono due titoli fuori concorso (PETIT PAYSAN di Hubert Charuel e UNA VITA VIOLENTA del corso Thierry de Pieretti) e anche il film italiano che mai avrebbe visto la luce senza il "settimo cavalleggeri" della Mact di Antoine de Clermont Tonnere, tra gli uomini di cinema più illuminati di Parigi e dintorni. A scorrere la lista degli esordi che puntano a diventare casi artistici all'ombra del 70/o festival di Cannes si può solo scommettere al buio (mancano raffronti e storicità per la maggior parte degli autori) e lasciarsi sedurre dal fascino di temi ricorrenti. In quest'annata prevalgono motivi prevedibili, come il lavoro, la solitudine, la memoria, il desiderio di fuga e la famiglia, mentre suonano stranamente assenti le emergenze più acute del nostro tempo, dal terrorismo all'emigrazione, dalla povertà alla paura. A cercare un filo rosso abbastanza costante si può pensare all'ansia delle generazioni più giovani (tali sono almeno cinque dei personaggi principali) e il fremito della violenza e della ribellione.
Così si resta attratti dall'africano MAKALA di Emmanuel Gras con il suo ritratto di un ragazzo che vuole cambiare l'inerzia passiva del suo mondo rurale a costo di sfidare criminalità e tradizioni. Ci si incuriosisce per l'insolita angolazione con cui la cilena Marcela Said affronta il ricordo rimosso della dittatura e dei torturatori in I CANI. Si ammira l'esotismo di nuova generazione che porta il protagonista di GABRIELE E LA MONTAGNA (del brasiliano Felipe Gamarrano Barbosa) a costruire il suo "Grand tour" di formazione lontano dall'agonizzante Europa per puntare sulle montagne del Malawi e le pianure del Kenia. Il tema (quest'anno ricorrente) del viaggio e dello spaesamento contagia sia Lea Mysius in AVA, con una ragazzina che sa di perdere la vista e si abbandona a una fuga vitale insieme a un giovane sradicato a cui ha rapito il cane, che la giapponese Atsuko Hirayanagi che porta la sua eroina nel bush americano alla ricerca di un maturo amore perduto. Il terzomondismo della selezione dei critici viene ribadito da un secondo titolo cileno (una cinematografia in grande spolvero) con LA FAMIGLIA del venezuelano Gustavo Rondon Cordova. Ma gli occhi di tutti saranno puntati sull'iraniano Ali Soozandeh che in TEHERAN TABU' mette in scena la rivolta silenziosa di tre donne e un musicista sullo sfondo di una società notturna, corrotta, agli antipodi rispetto all'immagine moraleggiante del cinema di regime. Non a caso il film è un singolarissimo esempio di disegno animato ed è stato interamente finanziato da tedeschi e austriaci che hanno dato spazio a un giovane autore cresciuto a Shiraz, ma emigrato in Germania nel 1995, ben lontano dagli strali degli Ayatollah.
Tutti i film della Semaine de la Critique concorrono anche all'ambita Caméra d'Or che consacra la migliore opera prima di tutta la Croisette. Molto spesso in questi anni l'hanno spuntata su produzioni più altisonanti e selezioni apparentemente più prestigiose a conferma che si tratta di un'arena di eccellenza. C'è da sperare che nemmeno quest'anno le attese vengano tradite. Si nasconderà qui il prossimo Tarantino?
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