Nello stesso anno del suo amico e sodale Tomas Milian se ne va anche Ray Lovelock, l'"americano", scomparso stamane a Trevi ad appena 67 anni, portato via da un tumore combattuto con coraggio fino agli ultimi giorni. Lascia la moglie Gioia, la figlia Francesca Romana, il nipotino Thomas, i fratelli Michael e Andrea. I funerali si terranno domani alle 14.30 al Duomo di Trevi.
Nonostante si sia portato addosso per tutta la vita l'etichetta di "amerikano" per le parti da duro e poliziotto sui due lati dell'Oceano, Raymond Lovelock era nato a Roma il 19 giugno del 1950 da padre inglese e madre italiana. E anche la sua carriera artistica, lasciata alle spalle un'apparizione non ufficiale in "Darling" di John Schlesinger nel 1965, si è sempre svolta all'ombra degli ultimi cascami della "Hollywood sul Tevere" e poi del cinema italiano di genere.
Fu infatti un irregolare come lui, Giulio Questi, a scoprirlo nel casting del suo western più sanguinoso e personale, "Se sei vivo, spara" (1967) e fu Carlo Lizzani a cucirgli addosso, per "Banditi a Milano" del 1968, il vestito del duro criminale Tuccio (il giovane della banda Cavallero) assieme a talenti tanto diversi tra loro come Gian Maria Volonté, Tomas Milian, il cantante Don Backy prestato al grande schermo.
Capelli lunghi da hippie, faccia da bravo ragazzo immerso nella Swinging London, il giovane Lovelock scala in fretta i gradini della popolarità, anche come cantante, sia da solista che nella band raccolta dall'amico Milian. Ma il cinema è la sua grande passione e qui si scava una nicchia di culto come investigatore di ferro, capace di usare le maniere forti ma anche di ragionare e scoprire i colpevoli nella stagione d'oro del poliziottesco all'italiana.
Sono gli anni '70 e dei maggiori successi, da "Squadra volante" di Stelvio Massi (1974) a "Milano odia: la polizia non può sparare" di Umberto Lenzi (stesso anno), da "Roma violenta" (Marino Girolami, 1975) a "Uomini si nasce, poliziotti si muore" (Ruggero Deodato, 1976). Proprio Umberto Lenzi gli affida i ruoli più diversi (faranno insieme cinque film), ma Lovelock compare anche in film firmati da autori "eccellenti", da Mario Monicelli a Norman Jewison, da Alberto Lattuada a George Pan Cosmatos che, con "Cassandra Crossing" del 1976, gli offre la notorietà internazionale a fianco di Richard Harris e Sophia Loren.
Negli anni '80 dirada le sue apparizioni al cinema perché trova nella serialità televisiva una seconda vita artistica a partire da "A viso coperto" e dal vigoroso ruolo che Luigi Perelli gli affida ne "La Piovra 5" (1990), dopo averlo rilanciato sul piccolo schermo con "La casa rossa" del 1981. In tv ritroverà una popolarità sempre cercata: magari in coppia con Terence Hill per "Don Matteo", o in serie di lunga durata come "Commesse" e "Incantesimo".
Al cinema si vede sempre meno ma vanno segnalati un piccolo film di culto come "Murderock" di Lucio Fulci (1984) e la sua ultima prova "My Father Jack" di Tonino Zangardi (2016), lo stesso anno dell'ultima apparizione televisiva in "L'allieva" con Alessandra Mastronardi. Uomo ironico e positivo, gran tifoso di calcio (fede laziale esibita con orgoglio anche nei talk show televisivi), professionista meticoloso, Ray Lovelock rimane però l'altra faccia di Tomas Milian in una stagione del cinema italiano che amava gli oriundi e con loro ha saputo vincere all'estero come e più che sui campi di calcio.
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