Se n'è andato senza riuscire a toccare il capo dei 90 anni (li avrebbe compiuto il 7 agosto) Sergio Fantoni, una di quelle figure capitali, ma sempre sommesse e quindi di rado mitiche, che fanno dell interpretazione un'arte tanto raffinata quanto invisibile. La notizia della sua scomparsa, venerdì 17 aprile, è stata Repubblica.
Sullo schermo è stato amato da Rossellini, Maselli, Damiani, Montaldo e molti altri, anche se la sua popolarità cresceva grazie a quasi tre anni spesi a Hollywood all'inizio degli anni '60 lavorando con Blake Edwards e Mark Robson. E ha prestato la sua voce a divi come Marlon Brando in Apocalypse Now, Henry Fonda in Meteor, Rock Hudson in Il gigante e Ben Kingsley in Gandhi.
VIDEO - La voce di Marlon Brando in Apocalypse Now è di Fantoni
In quello stesso decennio Sergio Fantoni è stato anche tra i primi a capire le potenzialità della televisione e sarebbe diventato presto (alla scuola di Anton Giulio Majano) un protagonista popolarissimo dei grandi sceneggiati. Così entrò nelle nostre case per non uscirne più, tanto che la sua ultima interpretazione fu quella del maestro di violino Barreca per la prima serie del Commissario Montalbano nel 1999, nell'episodio La voce del violino.
Fantoni, figlio d'arte ed erede di una stirpe rispettata di teatranti, era nato a Roma e il padre Cesare sognava per lui una carriera totalmente diversa dalla sua e da quella di sua moglie Afra Arrigoni. Lo voleva ingegnere, lo sognava inserito in quell'Italia concreta e fattiva che, rimboccandosi le maniche, avrebbe risollevato il Paese dopo la Guerra partendo dall'edilizia. Era un sogno che il ragazzo avrebbe cercato di interpretare seguendo corsi anche di architettura e imparandone l'attenzione alla misura e al metodo. Ma il richiamo del sangue alla fine fu più forte: di nascosto dai genitori andava a recitare i classici nei teatri all'aperto durante l'estate, affinava un'idea del mestiere lontana dal modello "genio e sregolatezza"; piuttosto "ordine e rigore". Alla fine, anche perché bello e istintivamente dotato, fu apprezzato e incoraggiato da maestri autorevoli come Luchino Visconti. Ma poiché era venuto per lui il tempo di mantenersi fuori dalla famiglia, puntò invece su Cinecittà dove gli fu maestro un artigiano di solida esperienza come Pietro Francisci che lo iniziò ai film spettacolari, peplum o avventura che all'inizio degli anni '50 erano prediletti dal pubblico e attiravano a Roma anche i produttori americani. Di lì a poco sarebbe cominciata l'epoca della "Hollywood sul Tevere" e Sergio ne avrebbe approfittato per farsi apprezzare, imparare l'inglese, creare alternative ai personaggi stereotipati dei B-movies italiani.
Già nel 1954 Visconti lo chiamò per "Senso" e cinque anni dopo con "Nella città l'inferno" di Renato Castellani cominciava per Fantoni una seconda carriera nel miglior cinema italiano. Intanto a teatro era ormai un protagonista e pur approfondendo i classici o Shakespeare mostrava sempre più curiosità per gli autori moderni, da Pirandello a Beckett, da O'Neil a Tom Stoppard. Sullo schermo è stato amato da Rossellini, Maselli, Damiani, Montaldo e molti altri, anche se la sua popolarità cresceva grazie a quasi tre anni spesi a Hollywood all'inizio degli anni '60 lavorando con Blake Edwards e Mark Robson. E ha prestato la sua voce a divi come Marlon Brando in Apocalypse Now, Henry Fonda in Meteor, Rock Hudson in Il gigante e Ben Kingsley in Gandhi. In quello stesso decennio Sergio Fantoni è stato anche tra i primi a capire le potenzialità della televisione e sarebbe diventato presto (alla scuola di Anton Giulio Majano) un protagonista popolarissimo dei grandi sceneggiati. Così entrò nelle nostre case per non uscirne più, tanto che la sua ultima interpretazione fu quella del maestro di violino Barreca per la prima serie del Commissario Montalbano nel 1999, nell'episodio La voce del violino.
A teatro, diventato regista dopo che un'operazione alle corde vocali gli aveva precluso le fatiche della recita quotidiana, fu un innovatore nel segno della tradizione, spesso insieme a Ivo Chiesa e affiancato dall'amatissima moglie Valentina Fortunato (anch'essa attrice) scomparsa appena un anno fa. Fantoni è stato maestro di recitazione, grande tecnico del doppiaggio, talvolta traduttore dei copioni che poi amava e voleva portare in scena. Ma era soprattutto un lavoratore minuzioso: usava il cesello anziché lo scalpello, frequentava con passione l'arte della sottrazione e del semitono cercando sul palcoscenico e sullo schermo la semplice esperienza della vita e quindi un naturalismo scevro di ogni virtuosismo apparente. Forse per questo il pubblico lo ha tanto amato: perché ogni volta si specchiava nelle fragilità, nell'eroismo quotidiano dei suoi personaggi prediletti. Sergio Fantoni è stato espressione alta di una scuola italiana del rappresentare che non cerca il metodo ossessivo degli americani ne' la magniloquenza pomposa della tradizione ottocentesca. Per lui il teatro e il set erano una casa. E qui ha portato i suoi spettatori, facendoli sempre sentire amici di famiglia, modelli che cercava di restituire con un tratto gentile.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA