VENEZIA - Dieci anni di lavoro, una tenacia da detective, 300 interviste a manovrare una materia ben più che dolorosa, la Shoah, la soluzione finale degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Quando il filmmaker inglese Luke Holland ha scoperto che i propri nonni materni austriaci erano morti, come i 6 milioni di altre persone nei campi di concentramento, ha cominciato un'opera monumentale e incredibile destinata a finire in musei, archivi e istituzioni. Ha rintracciato i testimoni dello sterminio, gli autori della barbarie, i reduci ormai anziani che hanno bruciato la divisa con la croce uncinata o la tengono cara nell'armadio della casa dove vivono in qualche posto sperduto della Germania o dell'Austria, ma anche tante persone 'ordinarie' che la divisa non l'hanno mai indossata ma hanno ugualmente partecipato alla vita del loro tempo. A tutti la stessa domanda: ti senti colpevole? E' il conto finale, il Final Account come si intitola il film documentario presentato oggi Fuori Concorso alla Mostra del cinema di Venezia.
Un film che è già storia, perché a raccontarsi, a spiegare il motivo delle persecuzioni, a scusarsi (non tutti in verità), ad affrontare il peso con cui sono andati avanti dopo il '45 è l'ultima generazione vivente di tedeschi che parteciparono al Terzo Reich di Adolf Hitler e forse alcuni di questi, nei 10 anni in cui è stato costruito il documentario, sono anche già scomparsi. "C'è l'altra parte della storia, quella sbagliata questa volta sotto i riflettori - ha detto il produttore Sam Pope - a rispondere a domande sulla responsabilità, sulle valutazioni personali, sull'identità". Holland, un noto documentarista, purtroppo è morto, nel luglio scorso a 71 anni, e oggi a Venezia per lui, tenendosi per mano, ci sono la vedova e i figli, una famiglia venuta a rendere omaggio al regista che sta consegnando alla storia la voce e i volti di quegli ordinary people che non si sono accorti, hanno preferito non accorgersi, non potevano fare altro che non accorgersi - secondo le variabilità delle risposte date - permettendo di fatto lo sterminio. "E' impressionante sentire persone 'normali' complici degli eventi di quegli anni, fa capire come lo Stato può, come è accaduto alla Germania di Hitler, agire in modo per cui è sembrato normale concepire di voler eliminare la razza ebraica, far accettare a persone 'normali' che l'inimmaginabile poteva essere realtà", ha detto il produttore.
Luke Holland è riuscito "a far aprire le persone che intervistava, a convincerli che la loro memoria, la loro testimonianza era un contributo alla Storia. Diceva loro di parlare, ricordare, assicurando che gli avrebbe fatto vedere il girato e nel caso di un loro no avrebbe cancellato il materiale". Ne è venuto fuori un lavoro che per la stampa inglese, a cominciare dal Guardian, è un capolavoro: quei primi piani su persone 80-90 enni, malmesse, fragili, stride con quello che raccontano e con le immagini d'epoca provenienti dall'University College London, dalla Wiener Holocaust library di Londra e dal National Audiovisual Institute di Parigi,che si alternano alle interviste. Tra tutte il momento più scioccante è quando nella villa di Wannsee alla periferia di Berlino, il luogo dove, il 20 gennaio 1942, fu decisa la Soluzione Finale, Holland fa incontrare un reduce di quella conferenza con giovani neonazisti con il volto pixelato. L'invettiva di quell'anziano contro i rigurgiti nazi, quel calare nel contemporaneo la tragedia di allora, è il documento vivente più importante per non ripetere la Storia.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA