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Cannes: Panahi in lockdown e proteste a Hong Kong

Cannes: Panahi in lockdown e proteste a Hong Kong

Docu tra politica e attualità. Rischio incidente con Cina

CANNES, 15 luglio 2021, 15:15

dell'inviata Alessandra Magliaro

ANSACheck

Panahi - RIPRODUZIONE RISERVATA

Panahi - RIPRODUZIONE RISERVATA
Panahi - RIPRODUZIONE RISERVATA

Per un regista recluso come Jafar Panahi, il dissidente iraniano colpito dalla condanna feroce di non poter più girare film né uscire, né rilasciare interviste, il lockdown non cambia poi di molto la prospettiva, semmai quella degli altri. L'autore del Palloncino bianco, del Cerchio Leone d'oro a Venezia, di This is not a film girato di nascosto e trafugato per la proiezione a Cannes nel 2011, è a casa sua, ormai padroneggiando lo smartphone come fosse la macchina da presa vietatagli da governo. E racconta come ha vissuto dalla sua prospettiva The Year of the Everlasting Storm, l'anno della tempesta infinita, partecipando ad un film collettivo presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes oggi tra gli eventi speciali.
    C'è ancora il suo Iggy, l'iguana domestico, a fargli compagnia: ingrassato anche lui come tanti umani per colpa del lockown, poi c'è la moglie ma è quando suonano alla porta che il mondo entra dentro: vestita come un'infermiera del pronto soccorso, tutta bardata di bianco, con il disinfettante spray in mano pronta ad igienizzare tutto, arriva la suocera anzianissima che non si rassegna più alla separazione, ma è talmente preoccupata di quello che sta accadendo e di quello che sente in televisione da portare con sé tutto l'oro che ha, perché così potranno organizzarle il funerale. Le altre microstorie sono firmate da Anthony Chen, Malik Vitthal, Laura Poitras, Dominga Sotomayor, David Lowery e Apichatpong Weerasethakul: sette pillole di autori di tutto il mondo per raccontare il momento senza precedenti che stiamo vivendo e al tempo stesso un potentissimo messaggio sul valore del cinema, della narrazione, della capacità di connetterci tutti attraverso le nostre storie e non importa se è uno smartphone a filmarle. Un po' quello che accade, ma con ben altra forza politica in Revolution of Our Times, un documentario sulle proteste ad Hong Kong e la repressione: è stato inserito all'ultimo minuto per una proiezione speciale domani e a sorpresa. Programmandolo, il festival si prende la sua bella responsabilità diplomatica mostrando quello che accade nella ex colonia britannica tornata sotto il controllo cinese 24 anni fa. Mentre si supponeva che al territorio fosse stato concesso un "alto grado di autonomia" per un periodo di 50 anni e che avrebbe operato secondo il "principio di un paese-due sistemi", negli ultimi anni è stata introdotta la "giurisdizione globale" della Cina e applicata, come è noto, in modo intransigente. Nel film c'è il pugno di ferro contro il movimento democratico, nonostante il forte sostegno popolare che ha portato due milioni di persone, quasi il 30% della popolazione della città, in strada esattamente due anni fa. "Voglio esprimere la mia sincera gratitudine a Cannes.
    È un onore per noi avere la prima mondiale di Revolution of our Times: Hong Kong ha perso molto più di quanto chiunque si aspettasse. Questa buona notizia sarà di conforto per molti hongkonghesi che vivono nella paura; mostra anche che chi lotta per la giustizia e la libertà nel mondo, è con noi! E gli hongkonghesi stanno resistendo!", ha detto Kiwi Chow in una dichiarazione via e-mail che è diffusa oggi.
    La sorte del film è abbastanza scontata: risulta illegale e potrebbe essere oggetto di ritorsioni diplomatiche. Il festival stesso, che pure lo ha messo a fine rassegna proprio per evitare ritorsioni immediate, sta rischiando molto, persino una denuncia diplomatica da parte delle autorità della Cina continentale e di Hong Kong. Del resto, il caso del documentario Do not Split, selezionato agli Oscar e oggetto di boicottaggio in Cina al punto di cancellare la diretta della cerimonia, è un precedente recente.
   

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