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Il legionario, seconde generazioni oltre gli stereotipi

Cinema

Il legionario, seconde generazioni oltre gli stereotipi

Reparto Celere e case occupate in opera prima di Papou a Locarno

ROMA, 06 agosto 2021, 14:37

di Francesca Pierleoni

ANSACheck

Il legionario, seconde generazioni oltre gli stereotipi - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il legionario, seconde generazioni oltre gli stereotipi - RIPRODUZIONE RISERVATA
Il legionario, seconde generazioni oltre gli stereotipi - RIPRODUZIONE RISERVATA

ROMA - Un 'celerino' "figlio di immigrati africani, nato e cresciuto a Roma, che scopre di dover andare a fare lo sgombero nel palazzo occupato dove ancora vivono sua madre e mio fratello". E' l'immagine, spiega all'ANSA il giovane regista Hleb Papou, dal quale è partito nel 2016 per il suo corto, Il legionario, presentato nel 2017 dalla Settimana della critica alla Mostra del Cinema di Venezia. Una storia che il cineasta ha sviluppato, arricchendo con intensità e realismo il racconto di entrambi i mondi, quello delle case occupate e del Reparto Mobile della Polizia, nell'omonimo film d'esordio, prodotto da Clemart in collaborazione con Mact Productions e Rai Cinema, distribuito da Fandango, che debutta nella sezione Cineasti del Presente al Locarno Film Festival.

Papou, classe 1991, bielorusso, naturalizzato italiano ("sono cresciuto a Lecco e da dopo il liceo vivo a Roma"), laureato al Dams e diplomato al Centro Sperimentale, è ripartito da Il Legionario per l'opera prima motivato da "una questione d'attualità. E' il momento di raccontare il qui e ora, anche per quanto riguarda gli italiani di seconde generazioni, andando oltre gli stereotipi. L'Italia dei nostri giorni non è più lo stesso Paese di 50 anni fa, anche se molti ancora sembrano non capirlo". Il film ha al centro Daniel (il bravissimo Germano Gentile, già protagonista del corto), giovane e preparato agente nella Capitale del Primo Reparto Mobile della Polizia di Stato, dove al di là del colore della pelle (il richiamo principale è nel soprannome, Ciobar) prevale il cameratismo, sotto la guida del caposquadra Aquila (Marco Falaguasta). Il protagonista, che sta aspettando un bambino con la compagna Trisha (Giorgia De Andreis) si trova però diviso tra il dovere e la necessità di proteggere il fratello Patrick (Maurizio Bousso) e la madre Felicité (Felicité Mbezelé) che ancora vivono nel palazzo occupato dove anche lui è cresciuto. Una struttura su cui pende un ordine esecutivo di sgombero. Atto contro cui Patrick e gli altri occupanti, italiani e stranieri, sono decisi a resistere.

"Insieme agli altri sceneggiatori, abbiamo voluto evitare il buonismo e la propaganda. Cerchiamo di rendere i personaggi vivi con le proprie caratteristiche, sia in positivo che in negativo, facendo, alla fine stare entrambi i fratelli nel giusto" spiega Papou. Si è girato "in un vero palazzo occupato, quello a via Santa Croce in Gerusalemme, dove l'elemosiniere del Papa staccò nel 2019 i sigilli che erano stati messi alla luce, un episodio che finì sui giornali. Abbiamo fatto molte ricerche e io ho pure vissuto per un periodo nel palazzo, per fare meglio le indagini sul campo. Volevamo essere il più onesti possibile, non raccontare frottole e uscire dalla nostra comfort zone". Quella del palazzo occupato "è una realtà molto complessa, un microcosmo a se' stante. A suo modo è simile al reparto mobile, perché è una realtà chiusa, ci sono regole molto severe, ferree, anche autoritarie. Se ti comporti in maniera non conforme alle regole, come quelle di sicurezza, ad esempio, rischi di essere sbattuto fuori". Si raccontano "tutte cose che esistono, e nel cuore di Roma, non in periferia. Le occupazioni sono un fenomeno molto presente e attuale. Ce ne ricordiamo però solo quando vengono mostrati gli sgomberi". Lo stesso sguardo realistico c'è nel mettere in scena il Reparto Mobile: "Ho conosciuto diversi celerini, abbiamo passato nottate a sentire le loro storie".

Nel film, girato in 19 giorni durante la pandemia, recitano anche alcuni veri occupanti del palazzo e ci sono i cameo di Sabina Guzzanti e il cantautore Ivan Talarico: "Lei su quella realtà ha anche girato un documentario. Le abbiamo chiesto se volesse partecipare al film ed è stata molto gentile e disponibile". Si racconta l'Italia di oggi, ma questo è un Paese dove ogni volta che si parla di Ius Soli riscoppiano le polemiche: "Ho la sensazione che se sei uno di seconda generazione e fai risultati, magari alle Olimpiadi, sei bravo, sennò no - commenta Papou - e mi riferisco anche alla frase di Malagò sullo ius soli sportivo. Non dovrebbe funzionare così in una democrazia. Ma si arriverà a non ragionare più per categorie, è inevitabile, non si può bloccare in una società un fenomeno di crescita".

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