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Brotherhood, tre fratelli da padre padrone alla libertà

Locarno

Brotherhood, tre fratelli da padre padrone alla libertà

Docu di Montagner al Locarno Film Fest. Fra temi il radicalismo

ROMA, 09 agosto 2021, 15:22

di Francesca Pierleoni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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 Tre fratelli in una famiglia di pastori, nella campagna bosniaca, Uzeir, circa 10 anni, Usama, 12, e Jabir, appena maggiorenne, costretti a crescere molto in fretta quando l'unico genitore che gli è rimasto, il padre Ibrahim, predicatore islamico radicale, viene condannato a 23 mesi di prigione, per terrorismo: era andato in Siria, a quanto sostiene, non per combattere con i jihadisti "ma per vedere come andassero le cose". E' la coinvolgente storia vera di ricerca della propria identità, raccontata da Brotherhood, il documentario di Francesco Montagner che debutta al Locarno Film Festival in Cineasti del presente.
Il regista, veneto, classe 1989, vincitore nel 2014 con Animata resistenza del premio per il miglior documentario nella sezione Venezia Classici, alla Mostra del Cinema, ha deciso di raccontare la vicenda dopo aver visto un servizio televisivo di Pablo Trincia. "Era una storia di radicalizzazione e veniva intervistato anche il padre dei ragazzi - spiega all'ANSA Montagner -. Mi hanno colpito soprattutto loro, perché avevano idoli e aspirazioni molto diversi dai miei alla loro età ma allo stesso tempo li sentivo vicini. Ho deciso subito di volerli andare a conoscere e tra noi, col tempo, si è creato un rapporto di grande fiducia". Brotherhood, coproduzione Repubblica Ceca - Italia (Nutprodukce e Nefertiti Film con Rai Cinema) "per me è anche una storia di mascolinità. Quando cresci in campagna, hai molta voglia di fare esperienza ma non ne hai sempre la possibilità e quindi cresci meno. E' quello che è successo anche a me che vengo dalla campagna veneta. Fino a 18 anni ero un po' un grande bambino". Montagner era attirato anche dal "cercare di capire, perché a delle persone bosniache potesse interessare la jihad". Ma temi "come il radicalismo e il terrorismo li ho lasciati sullo sfondo". Il documentario "è diventato un romanzo di formazione sul delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Un momento in cui fare anche scelte molto difficili, come dover andare contro la volontà dei genitori per costruirsi la propria identità". Il padre, che controlla ogni aspetto della vita dei figli, quando viene condannato, lascia loro chiare direttive da seguire fino al suo ritorno: Jabir deve procurarsi un lavoro e fare il capofamiglia; Usama deve badare alle pecore e Uzeir continuare a studiare. L'allontanamento del genitore dà ai tre fratelli per la prima volta un sapore di libertà ma anche la difficoltà di doversi gestire, fra solitudine, dubbi e incognite.
Come ha convinto Ibrahim a dire sì al film? "E'' stato molto severo anche con me. Ha messo molti limiti, molte regole su ciò che potesse essere filmato - spiega Montagner, prima diplomato e ora insegnante in una delle accademie di cinema più prestigiose del mondo, la Famu di Praga -. Nel tempo ci siamo capiti, ma è stato un braccio di ferro continuo. Il fatto che la storia si concentrasse sui figli però ha aiutato, lui si sentiva meno sotto pressione. E' un uomo che ha un'esposizione mediatica, sa parlare con i media e non volevo che usasse il film per propagare le sue idee. Il fatto sia andato per un periodo in prigione ha aiutato non solo i ragazzi, liberandoli per un po' da una presenza quantomeno ambigua ma anche me, nel farmi proseguire il percorso con loro". Una lavorazione durata quattro anni, con "viaggi in Bosnia per le riprese, due tre volte l'anno, restando più a lungo nei periodi più importanti per loro". Alla fine "il padre mi ha anche ringraziato, per non aver abusato della sua assenza". Ibrahim comunque, "è una vittima della guerra. Ha combattuto nel conflitto in Bosnia quando era poco più che ventenne, una guerra in cui si è sentito aggredito come musulmano. Questa è anche una storia su come la guerra lasci sempre delle tracce: sui ragazzi in modo indiretto, e sul padre in maniera più diretta".
Con i ragazzi "ci siamo sentiti anche recentemente. Ognuno ha continuato il percorso che aveva iniziato: Jabir sta cercando di andare a lavorare in Germania; Usama ha deciso di affrancarsi un po' dall'autorità paterna e di intraprendere altri lavori e sta viaggiando in Serbia. Spero che conoscendo il mondo possa iniziare ad idolatrare meno il papà. Invece Uzeir sta finendo l'ultimo anno di studi da elettromeccanico, quelli che voleva fare. Per ora la realtà ci sta dando un lieto fine".

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