Italia up and down: un anno si ulula per lo squadrone, un anno siamo al lumicino. Si fa la fila a Parigi per vedere C'è ancora domani di Paola Cortellesi, non fosse altro per capire come un film d'esordio e in bianco e nero possa aver riportato il recalcitrante pubblico italiano in sala sfracellando gli incassi, ma poi al festival di Cannes, la vetrina del cinema mondiale, ritroviamo solo un titolo in gara per la Palma d'oro (Parthenope di Paolo Sorrentino) e uno a Un Certain Regard (The Damned di Roberto Minervini) che accoglie il cinema più sperimentale e di ricerca. La selezione de La Semaine de la critique ieri e quella della Quinzaine oggi hanno lasciato a bocca asciutta: quest'anno dal 14 al 25 maggio si fa il tifo per loro e per completare la squadra magra c'è da sperare in qualche bel nome italiano nella giuria del concorso presieduto da Greta Gerwig o in un evento-tributo con lezione di cinema inclusa.
Ad oggi questo è. Dirottati tutti sulla Mostra del Cinema di Venezia? Staremo a vedere cosa annuncerà Alberto Barbera per l'81/a edizione che si apre il 28 agosto, lo scorso anno furono ben sei in un concorso penalizzato dagli scioperi in America e in cui si volle certificare con orgoglio che il cinema italiano meritava ogni successo. Ora con Cannes si fa un passo del gambero: il cinema tricolore è in crisi? È morto o solo svenuto? La selezione di Cannes certifica anche un'altra importante declinazione del sistema audiovisivo: la produzione o coproduzione.
Sempre più i produttori italiani, indipendenti o legati a grandi major, colgono opportunità anche all'estero o si fanno promotori di progetti che per chiudersi hanno bisogno di tante voci. È il caso di The Falling Sky alla Quinzaine sul popolo dell'Amazzonia con la regia dei brasiliani Eryk Rocha e Gabriela Carneiro da Cunha, e prodotto da Brasile e Italia. Il film è infatti una co-produzione Aruac Filmes, Hutukara Yanomami Association, Stemal Entertainment con Rai Cinema, in collaborazione con Le Film D'Ici, prodotto dagli stessi registi e da Donatella Palermo.
C'è la potente testimonianza di Davi Kopenawa, sciamano e leader del popolo amazzonico Yanomami e il racconto del rituale funebre misterico "Reahu", una cerimonia magica di evocazione che mobilita la comunità in uno sforzo collettivo per sorreggere il cielo e impedire che cada a causa dei comportamenti dei nape, i bianchi, e del mondo cosiddetto civilizzato. Il film è liberamente ispirato all'omonimo libro dello sciamano Yanomami Davi Kopenawa e dell'antropologo francese Bruce Albert, nato da una relazione trentennale tra i due. Ed è il caso di Limonov, il nuovo film del dissidente russo in esilio Kirill Serebrennikov, anteprima mondiale in concorso, al 77/o Festival di Cannes, ispirato al bestseller di Emmanuel Carrere, pubblicato in Italia da Adelphi, con Ben Whishaw nei panni di Limonov e Viktoria Miroshnichenko in quelli di sua moglie Elena. Viaggio attraverso la Russia, l'America e l'Europa durante la seconda metà del XX secolo, è prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del gruppo Fremantle, Fremantle con altri partner e uscirà in Italia distribuito da Vision.
L'Italia è in Marcello Mio in concorso, coproduzione Bibi Film e Lucky Red con Rai Cinema. TorinoFilmLab, laboratorio di alta formazione, è presente con cinque titoli (The Brink of Dreams di Nada Riyadh e Ayman El Amir, Mongrel è l'esordio di Wei Liang Chiang, All We Imagine as Light della regista indiana Payal Kapadia, Viet and Nam del vietnamita Minh Quì Trương e The Village Next to Paradise del regista somalo/austriaco Mo Harawe). Per completezza, alla Semaine c'è Asia Argento nel cast del francese Les reines du drame (Queens of Drama) di Alexis Langlois.
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