(di Paolo Petroni)
''Il suo posto viene subito dopo
quello di Shakespeare", scriveva Sigmund Freud a proposito di
Fedor Dostoevskij, di cui giovedì 11 novembre ricorrono i 200
anni dalla nascita, nel 1821. "I 'Fratelli Karamazov' sono il
romanzo più grandioso che sia mai stato scritto, l'episodio del
Grande Inquisitore è uno dei vertici della letteratura
universale, di bellezza inestimabile''. E quando muore a nemmeno
60 anni, chiude la grande stagione russa del secondo Ottocento
in cui hanno scritto i propri capolavori anche Tolstoj, Turgenev
e Goncarov.
Insomma una figura che continua a affascinare e a costringere
a farci i conti, anche perché con ''Memorie del sottosuolo''
nasce la letteratura moderna e sempre più Dostoevskij abbandona
la narrazione fluente del grande romanzo ottocentesco per
concentrarsi su nodi di rilievo esistenziale, costruendo
attraverso episodi, spesso per alcuni versi autonomi, un quadro
di intenso significato, in cui la vera sostanza dei fatti viene
data dal valore passionale delle idee, superando il romanticismo
della forza dei sentimenti.
E poi c'è anche la sua vita. Prima il successo a 25 anni,
ingegnere con la passione per la scrittura che con ''Povera
gente'', in cui tra grottesco e pietà è già tutta la sua
sofferta partecipazione con chi vive tra umiliazioni e miseria,
diventa il caso letterario del 1846. Pochi anni prima era morto,
ucciso, il padre e lo scrittore aveva avuto allora la prima
crisi di quell'epilessia che lo segnerà sempre, tanto più dopo
che nel 1949 viene arrestato per aver frequentato un gruppo che
si ispira a un socialismo utopistico e condannato a morte, con
l'esecuzione sospesa solo quando era già sul patibolo, e
commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia (da cui
nascono le terribili ma non disperate ''Memorie di una casa
morta'' ) e poi altri quattro anni di esilio da Pietroburgo.
Dopo quelle esperienze, la sua scrittura e il suo raccontare
i personaggi andrà trasformandosi e procederà non più per
esterna descrizione, ma per una sorta di bruciante
partecipazione e indagine sulla doppiezza dell'essere umano e la
sua sete di vivere, la sua bipolaraità, tra l'abiezione e il
riscatto, ''tanto più avevo coscienza del bene... tanto più
affondavo nel mio fango''. Pubblica quindi ''Umiliati e offesi''
e poi nel 1864 ''Memorie del sottosuolo'', lo steso anno in cui
gli muoiono il figlio, la moglie sposata durante l'esilio, e
poco dopo l'amato fratello Michail, che lo lascia coperto di
debiti. Dopo, ''tutti i personaggi dei suoi principali romanzi
avranno un sottosuolo, e vi penetreranno per poi risorgere
rigenerati o per affondarvi senza speranza, senza soluzione'',
come scrive Franco Malcovati, curatore di molte opere di
Dostoevskij in italiano.
Per cercare di far fronte a quel che deve pagare, lo
scrittore si dà al gioco, precipitando sempre più in una
situazione disperata. Scrive ''Delitto e castigo'', il grande
romanzo sul pentimento e l'espiazione col protagonista che fa i
conti con la propria amoralità di essere che si credeva
superiore, e poi, con radici autobiografiche, ''Il giocatore''
travolto dalla passione per la roulette. Lo detta a Anna
Grigorevna, che diverrà sua moglie, con la quale attraversa
l'Europa e arriva a Firenze, dove comincia a scrivere
''L'idiota'', sconfitta esistenziale di un uomo totalmente
buono, quasi contraltare dei suoi tanti personaggi scissi e rosi
dai dubbi. La sua del resto è una sorta di letteratura noir
dell'anima, che racconta di omicidi, stupri, malattie, eccessi
di personaggi nobili e/o miserabili, eroi solitari e irrisolti,
drammaticamente alle prese con se stesi, con le diverse e
contrastanti facce del proprio essere, in cui è tutto il male e
il bene di ogni uomo. Nel 1973 pubblica ''I demoni'', dove
sembra riflettere in modo nuovo sui temi dei romanzi precedenti,
dal nichilismo all'atto gratuito e l'assenza di Dio.
Scrive poi molte altre cose, tra cui racconti lunghi di rara
qualità e poesia come ''La mite'' (una cui riduzione teatrale di
Nicola Zavagli con Beatrice Visibelli va in scena proprio l'11
novembre al Teatro dei Fabbri di Trieste) o la storia di un
giovane in ''L'adolescente'' e, infine, la grandiosa narrazione
de ''I fratelli Karamazov'' con la contrapposizione tra il male,
l'odio tra padre e figlio, e la purezza del bene, che esce a
dicembre 1980, poco prima che Dostoevskij abbia un grave crisi
respiratoria e muoia il 9 febbraio 1981, 140 anni fa.
Notazioni, queste, forzatamente superficiali che vorrebbero
spingere a rileggere questo complesso e grandissimo autore, come
ha fatto per esempio, in vista di questo bicentenario, Paolo
Nori, recente autore di ''Repertorio dei matti della letteratura
russa. Autori, personaggi, storie'' (Salani) e che ha ora
pubblicato ''Sanguina ancora - L'incredibile vita di Fedor
Dostoevskij'' (Mondadori) e ha firmato la prefazione alla
riedizione di ''Un certo Dostoevskij - biografia polifonica in
lettere, diari e testimonianze'' a cura di Pavel Fokin (Utet),
notando che ''se un lettore cerca il vero Dostoevskij, non lo
troverà in questo libro, troverà invece, in questo testo
polivoco, appassionato e appassionante, diversi Dostoevskij,
molti Dostoevskij, in contraddizione l'uno con l'altro, dai
quali poi, alla fine, ogni lettore potrà ricavare il proprio'',
il che vale per chiunque si appresti a leggere oggi almeno
alcuni dei suoi romanzi e racconti, molti dei quali in nuove
edizioni per l'occasione, così come nuovi saggi esegetici, tra
cui da notare ''Dostoevskij, lo scrittore della mia vita'' di
Julia Kristeva (Donzelli).
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