Tra il 22 e il 29 aprile del 1945,
con l'Armata Rossa che stringe d'assedio Berlino fino ad
annientarla, Adolf Hitler e Joseph Goebbels non rinunciano alla
propaganda. Una propaganda di veleno e menzogne, diffusa
attraverso l'ultimo giornale del nazismo: il Panzerbär. Quattro
pagine per otto uscite, in formato ridotto, quando nessun altro
quotidiano circola più nella capitale tedesca, usando una
rotativa di fortuna e allestendo la redazione nel bunker sotto
la Cancelleria cannoneggiata.
Il logo è un orso corazzato, con vanga e panzerfaust tra le
zampe: incita i berlinesi a combattere fino all'ultimo istante,
perché "la vittoria è vicina", "i rinforzi sono in arrivo" e
"gli occidentali stanno cambiando alleanza". Lo distribuiscono
tra le macerie ragazzini in bicicletta, gratuitamente, con
l'invito, stampato sulla testata, a "leggere e passare" ad
altri.
Il Panzerbär riporta ogni giorno il bugiardo bollettino di
guerra, ospita feroci editoriali dei gerarchi militari del Terzo
Reich, spiega le fantomatiche ricostruzioni politiche e
strategiche di Goebbels, diffonde la minaccia di Hitler, che si
fa sempre più aggressiva: chi tradisce deve essere ucciso. E
racconta anche le storie del fronte, un fronte cittadino,
esaltando singole disperate azioni di presunti eroi
immediatamente eletti a martiri, elogiando le donne che
combattono al fianco degli uomini, innalzando a paladini i
poveri ragazzini scagliati contro i carri armati sovietici.
Giovanni Mari, giornalista de Il Secolo XIX di Genova, già
autore del romanzo "Klausener Strasse" sulla distruzione dei
resti di Hitler da parte del Kgb nel 1970, ha ricostruito
l'intera vicenda del Panzerbär, grazie alla consultazione degli
archivi dell'ex Ddr a Berlino e della documentazione
dell'Istituto tedesco per il marxismo e il leninismo.
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