Già nel 1300 possiamo parlare di una accusa eclatante di amichettismo, rivolta a Dante Alighieri, per avere favorito il rientro anzitempo dall'esilio dell'amico Guido Cavalcanti a Firenze.
Lo racconta la storica Chiara Mercuri,
docente di Esegesi delle fonti medievali all'Istituto Teologico
di Assisi e alla Pontificia Università Lateranense,
nell'articolo L'amichettismo di Dante, pubblicato su
Treccani.it.
Un'accusa da cui Dante si lasciò fortemente intimidire, come
risulta dalla lettera oggi perduta, indirizzata ai Fiorentini,
Popule mee, quid feci
tibi? che il segretario fiorentino Leonardo Bruni nel
Quattrocento ebbe ancora tra le mani.
In essa Dante tiene a
discolparsi collocando il provvedimento nella seconda metà
dell'agosto del 1300, quando lui non era più priore, e
precisando che i priori allora in carica assunsero tale
decisione non per favorire gli amici - come si sosteneva nella
propaganda dei Neri ‒ ma in ragione delle gravi condizioni di
salute di Guido Cavalcanti il quale, in esilio a Sarzana, aveva
contratto la malaria, di cui sarebbe morto pochi giorni dopo il
rientro in patria, il 29 agosto del 1300, come pure attesta la
sua sepoltura in S. Reparata.
La parola amichettismo, coniata da Fulvio Abbate, è entrata nel
2024 nei neologismi Treccani come sinonimo di familismo e
nepotismo, soprattutto in politica: se la Storia la fanno solo i
leader che, per definizione, camminano sempre soli, quelli
invece che pretendono di muoversi in gruppo sarebbero
amichettisti, familisti, nepotisti, dispensatori di privilegi e
prebende.
Attenzione però a non esagerare con le accuse di amichettismo,
sottolinea la Treccani, ricordando che il suo coniatore, Fulvio
Abbate, ha utilizzato il termine in senso diverso da come è oggi
impiegato nel linguaggio politico, riferendosi originariamente
ad un clima di conformismo culturale generato da un'acritica
difesa degli amici e delle amiche non nel merito di ciò che essi
fanno, ma per ciò che essi rappresentano per noi, i nostri amici
appunto. Si potrebbe arrivare
altrimenti al paradosso di definire "amichettista" Carlo
Rosselli, che fece pubblicare sul suo giornale, Non mollare, i
suoi amici, tutti di fede antifascista o il movimento letterario
Gruppo 63, che rischierebbe di essere ricordato come una casta
"amichettista" d'intellettuali che si sosteneva a vicenda per
dare voce a un'idea di mondo e di cultura precisa. E persino
Gesù di Nazaret il quale affidò, com'è noto, l'edificazione
della propria Chiesa ai suoi più stretti amici, sebbene l'unico
"privilegio" che ne trassero gli apostoli fu di condividere con
Lui martiri e persecuzioni.
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