- ''Sono 25 anni che sogno questo ruolo. È il personaggio cui aspira chiunque in palcoscenico. Ed è il testo che, quando lo le lessi la prima volta, mi ha fatto capire che volevo fare questo mestiere''. Così Daniele Pecci diventa per la prima volta Amleto. Forse il ruolo più complesso per un attore, di certo quello che ha portato il volto di tutti i grandi, da Gassman in poi.
Il principe di Danimarca di Pecci ha debuttato al Padovani di Montalto di Castro (VT) e si replica il 26 a Campobasso e il 23-24 aprile a L'Aquila, in un primo assaggio della tournèe più lunga della prossima stagione, nella versione diretta da Filippo Gili e realizzata con la Compagnia Stabile del Molise. Un banco di prova personale, ma anche una sfida produttiva collettiva.
''Sono stato più volte sul punto di interpretare Amleto - racconta Pecci all'ANSA a poche ore dal debutto - ma con i tempi drammatici che corrono oggi per il teatro, in Italia e a Roma in particolare, non è mai andata in porto. Ora ci siamo riusciti, con i soldi con cui uno stabile non paga nemmeno una sola prova.
Abbiamo tutti, me compreso, accettato una paga minima, più simile a un rimborso spese. Solo per amore del teatro''. Via tutti gli orpelli, dunque, nessuna scenografia, ne' costumi storici. 'Solo' 13 attori (che non sono pochi) a vivere la tragedia di Shakespeare in ogni spazio tra palcoscenico e platea con cordami a vista, luci in sala, il sipario che diventa l'arazzo del terzo atto e tutto il teatro trasformato nel castello di Elsinore.
''Abbiamo fatto della nostra debolezza, la mancanza di soldi - spiega Pecci - la nostra virtù. Il testo è quasi integrale e ci siamo riappropriati di quel modo di portarlo in scena che era già del Teatro Elisabettiano. Come allora gli attori indossavano abiti contemporanei con un particolare in più, una corona o un mantello, lo stesso accade a noi, che indossiamo smoking''. Ma perché proprio Amleto? ''Perché ogni volta che lo leggi, è come se ti parlasse per la prima volta - prosegue l'attore - Nella storia ha 30 anni, io 44: per arrivarci devi avere una certa esperienza. Ho riletto tutto il dramma dal suo punto di vista, liberandomi anche delle versioni che ho visto e amato, da Lawrence Olivier a Zeffirelli e Rory Kinnear al National Theatre. E ho trovato un Amleto diviso in due. Dalla vita in giù è figlio di suo padre e dell'epoca feudale. Dalla cintola in su è figlio del razionalismo, un uomo che deve riflettere su tutto.
Da qui il suo immobilismo, il dramma tra ciò che dovrebbe e non riesce fare, i monologhi che sono le nevrosi di un uomo che parla da solo. Amleto pensa di mettere solo in scena la follia, ma il confine è molto sottile. Se dopo 400 anni riesce a parlarci ancora così - prosegue - è perché Shakespeare ha preso un uomo e la sua problematica impellente e l'ha elevata a preoccupazione del mondo e dell'uomo moderno. Il tutto, con parole bellissime. Finchè avrò forza e me lo lasceranno fare - assicura Pecci - continuerò a portarlo in scena, con questa versione di cui spero si apprezzi lo sforzo che va al di là dei rapporti politici con i grandi stabili. Perché in uno stabile io non sono mai stato neanche chiamato a fare un provino. E i privati devono fare cassa. Qui invece non ci guadagna nessuno''.
Intanto a ottobre si torna in tv nella fiction di Canale 5 ''I misteri di Laura'', 8 episodi con Carlotta Natoli e Gianmarco Tognazzi, per la regia di Alberto Ferrari. ''Per la prima volta - conclude Pecci - sono un agente un po' alla 'Serpico', che parla romanesco e porta barba e capelli lunghi. Uno che viene dalla squadra anti-furti di Palermo e si ritrova a Torino, in un ambiente sofisticato, alle prese con casi cervellotici''.
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