“Vivere nel rischio significa saltare da uno strapiombo e costruirsi le ali mentre si precipita”: con una citazione da Ray Bradbury inizia questa serie francese che, nel solco di 1984 e di tutti i classici distopici, descrive un mondo futuro da incubo. La società è divisa tra disoccupati e impiegati. Soltanto il 20% della popolazione ha un lavoro e vive nel terrore di perderlo. Separati da un muro fortificato, vivono i derelitti, i Disoccupati. In un momento di particolare conflittualità tra i due gruppi, la Città decide di allentare le tensioni integrando migliaia di disoccupati al proprio interno: ma è il gesto di copertura di un potere che sfrutta i più deboli senza scrupoli e condanna buona parte della popolazione all’indigenza e alla malattia.
Gli ambienti dal design ricercato, la congettura socioeconomica che fa del possesso del lavoro un bene e del controllo dell’acqua un privilegio, così come il ritratto decadente di una aristocrazia oligarchica prigioniera della propria sottomissione alla scala delle classi sociali, contribuiscono all’efficacia di questa profezia negativa in cui il sentimento dominante è quello di “dover vivere in uno stato di perenne precarietà, con la paura costante di poter perdere quel lavoro da un momento all’altro. Ecco: questo sentimento, la paura, si avverte per tutta la durata della serie, fin dai primissimi minuti” (“Close Up”). Trepalium era la struttura di tre pali che serviva alla tortura nell’antichità: è diventato l’etimo (travail) che ha formato la semantica della parola lavoro.
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