"Seven Women", sette donne. Alcune note, notissime. Altre, almeno, per il pubblico italiano, ancora da scoprire. Ma tutte capaci di lasciare un "loro" segno lungo il cammino. E' così che Yvonne Sciò, l'ex ragazzina di "Non è la Rai", poi cresciuta attrice per tanti, da Carlo Verdone ai Fratelli Taviani e Pupi Avati, torna dietro la macchina da presa, per la sua seconda volta da regista. Due anni fa aveva raccontato una delle più grandi fotografe contemporanee, anima del mitico Studio 54 di New York, con il documentario "Roxanne Lowitt Magic Moments". Ora firma "Seven Women", ovvero il mondo visto attraverso gli occhi e le storie di sette donne, giornaliste, attrici, stiliste, modelle, artiste, che Rai Cultura propone in prima visione assoluta proprio alla vigilia della Giornata internazionale della donna, sabato 7 marzo alle 23 su Rai Storia per il ciclo "Documentari d'autore" e, dall'8 marzo, online su RaiPlay.
"Di strada ne abbiamo fatta e il vento del Metoo è stato importante - racconta l'attrice all'ANSA - Ora è tempo di metterlo a frutto. Ci vuole azione. Non è più possibile vedere più quelle foto dei potenti del mondo tutte al maschile". Per lei, già al lavoro su un terzo progetto da regista, in qualche modo tutto è cambiato con la nascita, nel 2008, di sua figlia Isabella Beatrice. "Per lei mi sono fermata - spiega - Le donne lo sanno: all'inizio devi pensare a tutto. Ti sembra di non avere più tempo per niente. Poi, quando ho cominciato a riaffacciarmi sul lavoro mi arrivavano solo offerte molto simili fra loro, reality o ruoli da donna oggetto. Io, però, ero cambiata, non mi ci rivedevo più. Guardavo la mia bambina e pensavo che avrei voluto lasciarle qualcosa. Soprattutto, volevo essere io a decidere. E mi sono quasi sfidata, debuttando da regista. È strano - sorride - ma le persone ti guardano con più rispetto quando dici che fai la regista".
Al centro di "Seven Women", girato tra l'Italia e gli Stati Uniti, è il mondo delle donne, "raccontate a bassa voce, come piace a me", dice. C'è Rula Jebreal, giornalista di origini palestinesi, cresciuta orfana, musulmana in un paese di ebrei, che ha fatto dell'istruzione la sua "arma" di indipendenza e ha scosso le coscienze dal palco dell'ultimo Festival di Sanremo. E poi Rosita Missoni, "che avevo conosciuto da piccola, con mia mamma", fondatrice con il marito Ottavio, dell'azienda che porta il loro nome. E ancora Patricia Field, costumista della serie "Sex and the City" e de "Il Diavolo veste Prada; Bethann Hardison, prima top model al mondo di colore e attivista per i diritti degli afroamericani; due artiste come Susanne Bartsch e Alba Clemente, che ricorda con romanticismo la magia del teatro e il suo incontro con Andy Warhol. Fino a Fran Drescher, icona della serie cult "La tata", che riscopriamo con un volto completamente diverso, mentre salta bacon fritto nella sua cucina a Los Angeles e intanto racconta delle violenze subite e della sua battaglia contro il cancro. "Ci siamo conosciute proprio quando giravamo insieme La tata - racconta la Sciò - Da parrucchiera nel Queens è riuscita ad arrivare al cinema e alla tv. Mi ha sempre ripetuto: 'se vuoi fare una cosa devi combattere'. E quell'insegnamento mi è rimasto nella testa. Anche quando per il primo documentario nessuno mi dava retta. Sono andata avanti per la mia strada. Main realtà tutte queste donne, in qualche modo, hanno segnato la mia vita. Da ognuno ho imparato qualcosa. Spesso mi chiedono: ma perché non appari nei tuoi documentari? In realtà - sorride - sono un po' pezzi di me, anche se non mi vedete".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA