"Si parte con "Roma città aperta",
un'inchiesta sulla malavita della capitale, che finisce per
assomigliare a Medellin. Il racconto prende le mosse, anche con
immagini inedite, dalla vicenda di Diabolik, all'anagrafe
Fabrizio Piscitelli, una figura simbolica della criminalità
capitolina". Corrado Formigli raddoppia su La7 lanciando, oltre
a 'Piazzapulita' in onda il giovedì, da domani per sei puntate
ogni lunedì in prima serata '100 minuti', un programma
realizzato con Alberto Nerazzini, con il quale commenterà in
studio i reportage e, nella parte finale, anche con un ospite
diverso per ogni appuntamento.
Qual è l'obiettivo della trasmissione?
"E' un format in controtendenza rispetto alla fruizione
frammentata e spesso superficiale tipica dei social. La tv
generalista non può limitarsi all'intrattenimento leggero e ai
talk, ma deve anche sapersi cimentare nel racconto replicabile
del documentario, entrando in un terreno lasciato
prevalentemente alle piattaforme".
Pensa che ci sia un clima favorevole al genere inchiesta?
"Tutt'altro. Non sappiamo neanche se le inchieste si potranno
fare in futuro, tra limitazioni sulle intercettazioni e sulle
ordinanze di custodia cautelare e pressioni sulle procure per
evitare contatti con la stampa. E' un lavoro molto a rischio.
Nella prima puntata, oltre che di mafia, parleremo anche di
bavaglio alla stampa con il procuratore di Napoli Nicola
Gratteri".
Quali saranno gli argomenti delle altre puntate?
"Spazieremo dall'economia alla società, fino alla politica.
Ci concentreremo sull'Italia, ma i nostri viaggi ci porteranno
anche fuori dai confini nazionali".
Qual è lo stato di salute dei talk?
"Viviamo in un paese di curve, guidate dal grande arbitro
collettivo dei social. E' difficile fare un ragionamento
complessivo: se parli dei morti di Gaza puoi essere accusato di
antisemitismo, se parli delle vittime dei kibbutz vieni tacciato
di essere sionista. E' insopportabile questo atteggiamento. Il
fatto che ci si divida di fronte a una guerra come quella di
Gaza è una cosa sana. Il fatto che ci siano proteste nelle
università è un segno di vitalità della società. Occorre
confrontarsi e restituire complessità. Il punto è che in tv ci
sono sempre meno immagini, manca il racconto. Noi a Gaza abbiamo
un nostro giornalista straordinario, Masoud AL-Jaroosha, che ha
documentato tutto. La realtà è più forte delle opinioni e
costringe gli ospiti a misurarsi con quello che vedono, rende il
talk più vitale. Questa sfida, che c'è già in 'Piazzapulita', in
'100 minuti' diventa quasi totalizzante".
Entriamo in fase di campagna elettorale. Cosa pensa della par
condicio e della proposta di Maria Elena Boschi di estenderla ai
giornalisti?
"La trovo inaccettabile. Catalogare i giornalisti per le
proprie opinioni è una cosa fuori dal mondo. Quanto alla par
condicio non sono mai stato favorevole, ma bisogna ricordare che
è nata perché c'era un presidente del consiglio come Berlusconi
che controllava tre reti private e la Rai. E' nata da un abnorme
conflitto di interessi, che oggi esiste ancora in molte forme,
come dimostra il caso di Angelucci e dell'Agi. In un mondo
ideale, senza conflitti di interesse, la par condicio non
servirebbe. Nel nostro mondo sono necessarie poche regole
semplici e bisogna guardare all'equilibrio complessivo. E'
sbagliato trattare i telespettatori da cretini".
Ospiterebbe in duello Meloni-Schlein?
"Non credo sia possibile. Da noi Meloni non viene da tre
anni. C'è un veto assurdo di Fratelli d'Italia e della Lega. Ci
sono parlamentari e consiglieri di questi partiti che vorrebbero
partecipare, ma vengono bloccati dai lori uffici di
comunicazione. Sono eletti democraticamente e poi devono
rispondere 'signorsì' ogni volta. Questa idea dei partiti come
caserme è ridicola e dimostra una concezione poco pluralista e
autoritaria dell'informazione. Ho ricevuto zero querele e
richieste di rettifica da questi partiti: allora che cosa
abbiamo sbagliato?"
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