Un film delicato, ma con un tema forte: quello dell'omosessualità vista come una malattia da cui ci si salva solo odiando se stessi. E' 'La diseducazione di Cameron Post', tratto dal romanzo di Emily M. Danforth (in uscita in Italia per Rizzoli il 23 ottobre) e in sala dal 31 ottobre: nessuna morbosità né eccesso, anche grazie alla recitazione calibrata della protagonista Chloe Grace Moretz (Suspiria, Sils Maria, Hugo Cabret) e per merito della regista newyorkese di origini iraniane Desiree Akhavan. Così nel film, più che il senso di colpa della protagonista, lo stupore di essere accusate di qualcosa che si avverte come naturale.
Già vincitore dell'ultimo Sundance Film Festival, il film ci porta in un passato non troppo lontano, il 1993. Siamo in una cittadina del Montana, quando la giovane Cameron Post viene sorpresa dal suo ragazzo a baciarsi appassionatamente in auto con una sua amica durante il ballo della scuola. Scoppiato lo scandalo, i genitori non ci pensano due volte e la giovane viene spedita in un centro religioso, God's Promise, in cui una terapia di conversione dovrebbe 'guarirla' dall'omosessualita.
Ma Cameron, dopo un iniziale sbandamento, diventa sempre più insofferente alla disciplina e ai dubbi metodi del centro. Così stringe amicizia con altri ragazzi, trovando quella solidarietà e quella comunanza tanto da creare alla fine una comunità orgogliosa e consapevole della propria identità.
"C'era qualcosa di davvero speciale nel libro - dice la regista -, era ricco di ironia e aveva un gruppo di giovani personaggi ben delineati. Ognuno di loro finisce al centro di conversione per motivi diversi e ognuno reagisce alla situazione in modo diverso".
La Akhavan poi poteva attingere alla sua personale esperienza in un centro di riabilitazione, dove era andata ventenne per curare un disturbo del comportamento alimentare.
"Mi e piaciuto raccontare una storia ambientata in un centro di riabilitazione -dice -, il cui obiettivo e sempre farti stare meglio: ma cosa vuol dire esattamente stare meglio? E nel caso del centro God's Promise, come e possibile per Cameron stare meglio se non puo 'to pray away the gay', come recita il classico slogan di questi campi religiosi? Questo e stato il nostro punto di partenza".
"Cameron ha una forte consapevolezza di se - dice invece la Moretz -. Non nega la propria sessualità, ne se ne vergogna.
Fin dall'inizio sa cosa le sta accadendo, sa di essere finita a God's Promise non perche ha fatto qualcosa di sbagliato, ma semplicemente perché stata scoperta. E una persona straordinaria, che pur essendo finita in una situazione orribile non si chiude in se stessa ma cerca comunque di dare il meglio come persona".
Frase cult del film quella che dice la stessa Cameron Post a chi le contesta di non aver comunque subito alcuna violenza al centro di riabilitazione: "sì - dice -, ma ci sono anche i maltrattamenti emotivi come quelli di spingere le persone a odiare se stesse".
Sul red carpet di La diseducazione di Cameron Post ci saranno Women in Film, Dissenso Comune e le Firmatarie Carta per la parità e l'inclusione.
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