Ha attraversato l'industria culturale ed è riuscito a inciderla profondamente con i suoi tratti su carta e tela, sempre acuti e pregnanti: Tullio Pericoli, pittore e disegnatore, racconta se stesso e la sua arte nel piccolo libro ''Pensieri della mano'' (Adelphi), prezioso frutto di un'intervista rilasciata a Domenico Rosa. Pericoli, che si è sempre definito il ''pittore dei giornali'' (per le sue collaborazioni con i grandi quotidiani italiani e internazionali) e che negli anni ha dispensato al pubblico centinaia di volti (tra ritratti e caricature) e paesaggi, senza dimenticare il lavoro teatrale con scene e costumi, sceglie di mettersi a nudo mostrando il regalo più prezioso donatogli dal destino: la capacità di interpretare il mondo circostante attraverso l'arte. Raccontarsi è sempre un'operazione difficile, soprattutto per un artista, eppure Pericoli non si tira indietro e inizia questo excursus su se stesso partendo dalla propria mano. La mano, qui intesa come alleata dell'homo faber, come essere a sé stante che ha pensieri e anche un metodo. ''Nella mano c'è una sapienza e insieme, a volte, il peso della sapienza'', scrive nel libro, lasciando immaginare al lettore l'ampiezza di quel mondo interiore che mette in campo con generosità ogni volta che disegna. ''Tutto si svolge tra me e la punta estrema del pennello o della matita che sta tracciando quel segno'', rivela, come se fosse davvero possibile annullare la percezione dell'autore, del segno e della superficie che lo accoglie, ma anche del braccio e della mano. In un continuo flusso di comunicazione che dalla parola si collega ai disegni e viceversa, Pericoli afferma con forza il concetto di un'arte che non è soltanto l'opera, ma soprattutto l'atto del fare: ''Mi piacerebbe si continuasse a sentire il fruscio della mia mano sulla superficie, della matita sul foglio, del pennello sulla tela''. Le pagine sprigionano intelligenza, rispetto per il lavoro e per il proprio ruolo nei confronti del pubblico, ma ciò che appare più evidente è la disarmante sincerità che Pericoli dimostra quando parla, anche nel dire ciò che non sa: in questo racconto-confessione emerge l'artista ma anche l'uomo, in un ritratto (stavolta il suo) inedito e profondamente intimo. E non deve sorprendere che, dopo tanti anni di pratica artistica, Pericoli mostri ancora intatta la curiosità di comprendere la natura della linea, la vita dei colori quando si stanno asciugando, i perché di un volto da ritrarre, la possibilità di sentirsi parte di un paesaggio. L'obiettivo è sempre coniugare l'atto mentale e quello fisico, e ricercare quel di più che si nasconde dietro le cose, la ''bellezza di allargare il visibile'', possibile solo a chi ha ancora occhi desiderosi di guardare davvero.
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