SANDRO VERONESI, 'TERRE RARE' (BOMPIANI, pp. 414 - 19,00 euro).
Le terre rare sono quelle che si trovano all'interno di altri elementi: per esempio un cristallo di monazite (il cui nome vuol dire: essere solitario) non è cosa rara, ma contiene il più raro e prezioso disprosio (che vuol dire: difficile arrivarci) e questi due elementi vengono usati in questo romanzo di Veronesi come metafora dell'essere solitario che deve venir distrutto con difficoltà per poter estrarre ciò che ha in sé di prezioso. E' questo processo di faticosa estrazione quello che compie Pietro Paladini, durante alcune sfortunate, ma catartiche, giornate esemplari della sua vita, otto anni dopo che lo avevamo lasciato appunto chiuso in se stesso e a tutto il mondo per difendere la propria figlia Claudia, che non mollava, anche quando era a scuola, dopo la morte della madre, di sua moglie.
Un 'caos calmo', circoscritto come il centro isolato di un uragano, mentre tutto intorno la vita continuava a correre e la coscienza comunque a scavare, non solo in lui, ma anche nella bambina che cresceva ed è diventata maggiorenne, sofferente e desiderosa di fuggire dal padre per ritrovare se stessa.
Prosegue quindi l'indagine su padri e figli che è un po' il filo rosso di gran parte della narrativa, quella che al fondo sembra vissuta più sulla sua pelle, di Veronesi. Non a caso questa anche drammatica, pur nei suoi risvolti paradossali e quasi comici, odissea del povero Paladini ha al suo orizzonte e, per certi versi, suo approdo un serena malinconia sentimentale legata ai ricordi di famiglia, i week end a Sacrofano, le vacanze a Roccamare, i fiori di campo sulla tomba della madre, il rapporto non facile col fratello Carlo, fuggito in Sudamerica dopo un crack finanziario, e col padre, andato a vivere in Svizzera con la più giovane Chantal, e naturalmente quello con Claudia, che alla fine troverà il suo momento di verità.
Su tutto questo, quel che a Veronesi riesce facile, a confronto di tanta narrativa italiana di suoi coetanei, è costruire una realtà romanzesca e realista, proprio per e nei suoi particolari assurdi come la vita quotidiana, specie quando sembra rivoltartisi contro.
Paladini è in fuga, perché il mondo attorno gli è crollato addosso, mentre lui si faceva irretire e gabbare da una giovane e seducente giovane signora cui avrebbe dovuto sequestrare la macchina (è il suo lavoro recuperare e vendere auto di cui non sono state pagate più le rate), con un concatenarsi seguente di incidenti e sfortune, culminate nel sequestro della patente e perdita del cellulare. Ma la sorpresa vera, al ritorno, è che la sua azienda, la Super Car, nel frattempo è stata visitata e praticamente chiusa dalla finanza che ha scoperto il suo socio Lello, anche lui fuggito all'estero, essere al centro di un giro di auto rubate riciclate grazie all'appoggio di una gang romena.
In una vicenda ricca di coincidenze, comprese le terre rare ("è come nel cuore di questa mia giornata possano celarsi regole occulte"), Paladini mostra tutta la propria svagatezza, indeterminatezza, barcamenarsi tra menzogne e verità, l'incapacità ad agire (anche se poi riuscirà a risolvere i propri problemi) e nel racconto in prima persona, tutto dal suo punto di vista, inseguendo i propri pensieri, le libere associazioni di ricordi, storie e persone, si costruisce non solo la verità di un personaggio complesso e vero, ma tutta un'esistenza esemplare e una narrazione abile nel far credere di perdere continuamente il filo, sempre ritrovandolo come niente fosse, tra ossessioni, manie, debolezze (come l'amore per D, sexy ma coatta) e improvvisi momenti in cui prende in mano la sua vita. E così, adattandosi a tanto divagare e per certi versi con qualcosa di mimetico, è la lingua di Veronesi, come un gran fiume che scorre rapido e implacabile sino alla foce, dove ad attendere Pietro, con l'ombra della moglie Lara e la cognata Marta, c'è soprattutto Claudia.
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