PAOLO BARBIERI, GLI OCCHI DI THANATOS (Moretti e Vitali, pp.97, 16 Euro). I grandi temi della vita e della morte, di Dio, della sofferenza e della tecnica nella società contemporanea sono al centro dell'ultimo libro del giornalista Paolo Barbieri, intitolato Gli occhi di Thanatos (Moretti e Vitali). Una lettura di stampo squisitamente filosofico, destinata a lettori che non temono di impegnarsi in ragionamenti che conducono verso lidi lontani, e di certo non semplici. Due i racconti filosofici, E-mail sulla morte e Dialoghi d'agosto, che compongono il libro: nel primo l'autore sceglie la scrittura epistolare per chiedersi se davvero si possa imparare a morire, affrontando la paura e le tante domande che da sempre attanagliano l'uomo di fronte a questo ultimo atto ineluttabile della vita. Soprattutto quando si è costretti a confrontarsi con la malattia incurabile, sollevando dunque in questo modo alcune delle più scottanti questioni che hanno animato il dibattito politico degli ultimi anni, dall'accanimento terapeutico all'eutanasia. Il secondo racconto mantiene la forma di dialogo e mette al centro il rapporto dialettico tra un ateo e un sacerdote, tra la memoria singola e quella collettiva. Dalla prima all'ultima pagina, la lettura è densa di riferimenti filosofici, da Platone ad Aristotele a Heidegger, ma è soprattutto il pensiero del filosofo Emanuele Severino ciò su cui Barbieri concentra la sua attenzione. Interessante a questo proposito la riflessione che Severino fa sulla tecnica, come "coordinazione dei mezzi per la produzione di un fine", e quindi come "espressione della natura umana, tra le più belle", ma solo se è liberata dall'uso che ne fanno le ideologie. Nel libro la morte aleggia in ogni pagina, ne è il motore propulsivo: tuttavia, seppure in modo estremamente condensato, l'autore dà il via a una serie di pensieri concatenati, che spaziano in problematiche eterne insite nell'uomo. Il libro non offre soluzioni precostituite al lettore ma lo chiama in causa obbligandolo a una riflessione necessaria. Del resto le questioni in ballo sono tante e la forma snella del racconto è l'espediente che lo scrittore usa per andare dritto al centro del discorso in modo diretto e semplice, ma senza banalizzarlo.
Non si tratta di affrontare una sterile contrapposizione tra credenti e non, tra chi è convinto del diritto dell'uomo ad autodeterminarsi (anche nel momento estremo della morte) e chi invece affida tutto a Dio e alla sua volontà, quanto piuttosto di aprire la mente a una discussione franca che rifugga le ideologie. Se cacciare via la morte non è possibile, allora tanto vale guardarla negli occhi, sembra dirci l'autore: anche se questo comporta mettere sul piatto le paure più profonde.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA