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Alajmo, racconto crudo e tenero

Alajmo, racconto crudo e tenero

'Carne mia' tra Sicilia e Spagna all'ombra della mafia

ROMA, 07 novembre 2016, 10:08

Paolo Petroni

ANSACheck

La copertina del libro di Roberto Alajmo 'Carne mia ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina del libro di Roberto Alajmo  'Carne mia ' - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina del libro di Roberto Alajmo 'Carne mia ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

ROBERTO ALAJMO 'CARNE MIA' (SELLERIO, pp. 290 - 16,00 euro).
    Forse queste paternità irresponsabili, queste paternità difficili, con questi figli vittime anche nel momento in cui cercano di ribellarsi, di costruirsi una vita diversa, sono la metafora stessa della Sicilia che non riesce a liberarsi della mafia, che si infiltra e soffoca privando della libertà i propri figli. La mafia del resto è la presenza costante nelle opere di Roberto Alajmo, un qualcosa che fa parte in modo quasi esistenziale delle vite dei protagonisti dei suoi racconti e romanzi, incentrati su storie famigliari. E ciò vale anche per quest'ultimo, con quel 'Carne mia' nel titolo, che appunto riguarda i rapporti di sangue, ma guarda caso anche il macellaio Pino, che è la voce, l'uomo della mafia nel quotidiano della vita del Borgo Vecchio di Palermo, "paesello ritagliato in pieno centro urbano, che resiste alle infiltrazioni della modernità", che sarebbe poi anche la legalità.
    In quei vicoli, Calogero Montana ha una bancarella abusiva di frutta e verdura con cui riesce a mantenere la famiglia, Mela e i figli Franco e Enzo, finché un giorno, come tutti sanno che può capitare da quelle parti, Calogero sparisce, non torna più a casa, di lui non si hanno più notizie. La moglie non fa storie e, con quei modi indiretti e allusivi di certe comunicazioni mafiose, va in Carnizzeria e chiede consiglio a Pino, che la incoraggia e farà in modo che gli affari della bancarella riprendano anche meglio di prima, ora che a mandarla avanti c'è lei e Franco, visto che il fratello, Enzo, non è proprio portato per il lavoro e l'impegno. Anzi Enzo si metterà nei guai e si unirà a una donna più sbandata di lui facendo persino un figlio cui viene dato il nome del nonno e viene detto Calò, ma che è come fosse nato orfano, o peggio. Una situazione pubblica che metterà nei guai tutta la famiglia, trascinandola in un incubo orribile, da cui si può solo cercar di salvarsi scappando. E Franco, uomo impacciato e forte, delicato e sicuro, umano e vivo davanti al lettore che pure di lui sa solo che è tarchiato e stempiato, si fa carico di tutto e di più, e con mamma Mela e il piccolissimo Calò organizza una fuga da Borgo Vecchio per raggiungere in Spagna, a Murcia, Angelo, un compaesano che là ha fatto fortuna proprio occupandosi all'ingrosso di frutta. E lì sembra che tutto possa riprendere in modo diverso e sereno con Franco che è bravo nel lavoro, fa da padre a Calò, si innamora dell'ungherese Helena con cui fa un altro bambino, Kevin. Il problema è solo che del passato non ci si libera mai, e se questo poi porta il timbro della mafia, il tutto è ancora più difficile, visto che la normalità è sempre precaria e in qualsiasi momento tutto può cambiare drammaticamente, come ai Montana è successo dopo che il padre è stato fatto sparire. E quando inevitabilmente risuccede qualcosa, la logica è sempre quella di Mela: "Io non sapevo niente e non so niente. Certe cose me le posso pure immaginare ma non lo so se sono vere. Franco non mi ha mai detto niente e io niente voglio sapere. Io lo rispetto mio figlio".
    A tale logica sfuggono i bambini e Calò crescendo è invece tutto domande e voglia di capire quel che nel passato è successo che lo riguarda, sino al finale, con Calò e il fratellino Kevin che camminano sotto il sole lungo una strada statale spagnola, come ci era stato anticipato all'inizio del libro, per evidenziare una circolarità, la dannazione di non riuscire a sfuggire di generazione in generazione a certe situazioni di rabbia, sangue e onore. E sarebbe ingiusto dire di più di questa vicenda di cui si sospettano molte cose e che tiene col fiato sospeso in attesa che accadano, non per una oggi abusata costruzione thriller ad effetto, ma anzi per una sorta di affabulazione legata a una paradossale normalità, per una leggerezza di scrittura, ma incisiva e che punta ai sentimenti e ti fa amare i personaggi, in cui Alajmo è maestro, capace di togliere peso a una storia umanissima in realtà molto pesante, su cui il narratore non indugia, così che nasce anche una sorta di amara comicità paradossale che diremmo molto siciliana. E questa sicilianità non è un limite, bensì un valore aggiunto, una sorta di lente che permette una lettura meno superficiale di qualcosa che comunque ci riguarda e coinvolge tutti.
   

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