FRANCESCO DE FILIPPO, LA NUOVA VIA DELLA SETA. VOCI ITALIANE SUL PROGETTO GLOBALE CINESE (Castelvecchi, pp.96, 13.50 Euro). Solo due ideogrammi traslitterati in Yidai Yilu, 'una cintura una strada', che nascondono in realtà un piano gigantesco e ambizioso, in grado di cambiare per sempre i rapporti tra Oriente e Occidente: è dedicato al mega progetto cinese noto come Belt and Road Initiative l'ultimo libro di Francesco De Filippo, "La nuova Via della Seta" (Castelvecchi), in cui il giornalista intervistando alcuni esperti affronta la questione da una prospettiva prevalentemente italiana. Miliardi di dollari di investimenti, 70 Paesi coinvolti, infrastrutture potenziate, scambi commerciali facilitati, cooperazione e comunicazioni sviluppate e irrobustite sono le principali caratteristiche di un progetto globale che sembra configurarsi per tutti gli attori coinvolti come una grande occasione: il problema è cercare di capire se lo sarà davvero quando nuovi equilibri si formeranno, o se invece le insidie e i rischi per l'Occidente (in primis quello di essere fagocitati dallo spregiudicato colosso cinese) siano superiori ai vantaggi.
Come ci ricordano le notizie delle ultime ore, con il Governo diviso su quale strategia adottare nella relazione con la Cina, il tema è di stretta attualità. La Via della Seta ci riguarda da vicino e per varie ragioni, tutte elencate con chiarezza dall'autore: gli investimenti massicci compiuti dai cinesi nel Made in Italy, per rafforzare il rapporto con le piccole e medie imprese nostrane, la necessità per noi di far crescere l'export italiano verso la Cina, e poi "l'esclusivo rapporto di rispetto che la Cina nutre nei confronti dell'Italia e del suo passato" nonché l'elevato debito pubblico che accomuna i due Paesi. Ma c'è anche un'altra ragione, forse ancora più importante: il ruolo strategico per lo scambio commerciale che i porti di Genova, Venezia e soprattutto Trieste potrebbero ricoprire con la nuova Via della Seta. Nel tentativo di comprendere realmente la situazione, il libro presenta le riflessioni di dieci manager, esperti, industriali, economisti che conoscono la Cina e le dinamiche del mercato, dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia al Presidente di Assicurazioni Generali Gabriele Galateri di Genola, da Andrea Illy, Presidente di Illycaffè e presidente della fondazione Altagamma, a Parag Khanna, esperto mondiale di logistica e geopolitica, per arrivare agli gli economisti Loretta Napoleoni e Dominick Salvatore. Tra opinioni possibiliste ma caute e altre più chiaramente ottimistiche, i professionisti intervistati chiariscono più di un punto su che cosa questo mastodontico piano attuabile per terra e per mare potrebbe significare per l'Italia. Per tutti uno dei nodi centrali è quello dell'Europa, formalmente unita ma che ancora una volta fa emergere significative criticità e divisioni: alleata degli americani (che guardano con diffidenza un'influenza maggiore di Pechino) ma attratta dalle prospettive commerciali con la Cina; un'Unione istituzionale in cui, tuttavia, gli Stati membri fanno accordi singoli con il governo cinese. E in Italia, tenuta d'occhio dagli Usa di Trump, la politica si divide: si discute vivacemente anche sull'opportunità o meno che il nostro Paese firmi (come hanno già fatto oltre 10 Stati europei) un memorandum di intesa con la Cina il prossimo 22 marzo, in occasione della visita a Roma del presidente Xi Jinping.
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