Paolo Petroni LUCIO VILLARI, ''LA LUNA DI FIUME - 1919 il complotto'' (GUANDA, pp. 210 - 18,00 euro). Un Gabriele D'Annunzio assolutamente inedito nella precisione del ritratto e documentazione delle idee e dei fatti che farano discutere, in contrasto con quanto scritto anche in questo anno di celebrazione del centenario dell'impresa di Fiume, da cui certo derivarono aspetti esteriori e parole d'ordine del fascismo, di cui in realtà il poeta fu un più violento precursore col suo progetto eversivo, golpista, di distruggere la nascente democrazia liberale italiana, poco dopo la fine della prima guerra mondiale.
''D'Annunzio fu sicuramente e paradossalmente più a destra di Mussolini'', afferma Villari, spiegando in modo efficace e sintetico quanto diffusamente ricostruito in questo suo ultimo libro: ''il poeta soldato era bellicista, guerrafondaio, nazionalista, adoratore della violenza e del sangue, precursore dello squadrismo. Dopo Fiume progettò nel 1919-1920 una marcia su Roma senza timore di rischiare una guerra civile cruenta, per rovesciare con un colpo militare il governo prima di Nitti, poi di Giolitti e deporre Vittorio Emanuele III per sostituirlo sul trono col Duca d'Aosta, uomo di estrema destra''.
Il pretesto, l'occasione fu la famosa ''vittoria mutilata'', il risultato della Conferenza di pace di Versailles in cui gli stessi alleati dell'Italia, Stati Uniti in testa con Gran Bretagna e Francia, non trovarono alcuna ragione politica, giuridica, diplomatica per assegnare la città di Fiume al nostro paese, invece che alla nascente nazione che sarebbe poi stata la Jugoslavia. Da qui il colpo di mano e occupazione di Fiume di D'Annunzio e i suoi arditi che ne fecero una sorta di porto franco di violenze, di circolazione libera della droga, a cominciare dalla cocaina usata dallo stesso poeta, di un amore libero in cui le donne erano più usate che altro, tanto da deludere e rendere insofferenti gli stessi fiumani. Per Villari anche la celebre e citata Carta di Carnaro, Statuto della città, pubblicato più di un anno dopo la sua occupazione, che appariva sorprendentemente avanzato e democratico (dal ribadire la laicità delle scuole e il dritto alla cultura come strumento di libertà sino al voto alle donne) ''era una mistificazione, erano pure chiacchere di un abile mestatore che cercava di confondere le acque e che giustamente Giolitti fece poi sgomberare a suon di cannonate''.
Non a caso, e lo si ricorda anche in queste pagine, secondo De Felice D'Annunzio e Mussolini vissero ''moralmente e politicamente in due modi assolutamente diversi, contrastanti addirittura''. Il vero fascista antesignano estremista era il Vate che poi dal fascismo fu nei fatti isolato e, da uomo avido e corrotto quale era, profumatamente pagato perché si mettesse da parte.
Il libro di Villari, che probabilmente susciterà una bella discussione storico politica, ricostruisce una cospirazione di personaggi e venti che operò nei modi più diversi per destabilizzare, in un dopoguerra drammatico, l'Italia, in cui D'Annunzio ebbe un ruolo di primo piano. Sono pagine che raccontano senza pedanteria, il che le rende assai leggibili, senza note accademiche, ma ha alla fine 65 pagine di documenti inediti dell'Archivio Guido Jung (poi Ministro delle finanze e cofondatore dell'Iri nel 1933) avuti da Oscar Sinigaglia, industriale dell'acciaio, fondatore dell'Ilva e acceso nazionalista di destra. Sono lettere, verbali, resoconti riservati di azioni di ''persone che entravano con facilità nelle strutture del potere senza alcuna autorità per farlo , ma ottenendo sempre ascolto e attenzione'' grazie a nascoste complicità, per ''cercar di influenzare in modo occulto, secondo una precisa visione nazionalistica, le iniziative della delegazione italiana a Versailles'' (ora depositati all'Archivio Storico della Banca d'Italia).
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