C'è una possibile luce in fondo al tunnel di buona parte dell'Eurozona, ed è la Grecia ormai prossima a uscire da una recessione durata sei anni. Ma c'è anche il segnale che la 'ripresa', appena intravista in Paesi come l'Italia poi ripiombata in recessione, abbia già esaurito la sua spinta propulsiva, con una deflazione che lambisce anche la Spagna. E la certificazione ufficiale rischia di arrivare domani con il Pil dell'Eurozona nel secondo trimestre. Dopo la gelata dell'indice di fiducia tedesco Zew ieri, oggi un'ipoteca sulla crescita del periodo aprile-giugno è arrivata dalla produzione industriale dell'Eurozona: -0,3% congiunturale a giugno dopo il -1,1% di maggio, uno schiaffo in faccia alle attese per un +0,4%.
Che rischia di mettere una seria ipoteca, secondo diversi economisti come Peter Vanden Houte di Ing, sul Pil dell'Eurozona nel secondo trimestre. La prova del nove arriva domani: si parte con il Pil francese, attese in crescita di un esiguo 0,1% ma con il rischio di una crescita del tutto stagnante. Poi arriva quello tedesco, con previsione di un -0,1% da parte dei principali economisti. Un dato che di per sé non sarebbe troppo preoccupante se letto alla luce del balzo (+0,8%) del primo trimestre per fattori stagionali. Ma si tratterebbe pur sempre della prima contrazione del Pil tedesco dal 2009. I dati sul Pil dell'intera area euro arrivano alle 11: la previsione media degli economisti è per un +0,1%.
Ripresa sul filo del rasoio, dunque, e il frenata dal già basso +0,2% del primo trimestre. Vi sono anche segnali positivi. Il più forte arriva dalla SPagna, con un +0,6% già incassato grazie alle riforme decise adottate dal premier Mariano Rajoy sotto la pressione di Ue e FOndo monetario internazionale. La Grecia, sempre nel secondo trimestre, ha segnato un -0,2%, un dato migliore del -0,5% previsto e che apre all'uscita dalla recessione peggiore dal dopoguerra. Ma proprio la Spagna riaccende l'allarme-deflazione: mentre i prezzi restano positivi in Francia e Germania e stagnano in Italia, in Spagna sono scesi a luglio dello 0,3% su anno. Numeri che rischiano di rivelare che la ripresa ha già dato il meglio di sé. E possono sgretolare le previsioni della stessa Bce, ferme a una crescita dell'1% per l'Eurozona nel 2014 e a un'inflazione in graduale ripresa.
Da una parte giocano le debolezze interne, inclusa la dipendenza della Germania dall'export messa in crisi dalla frenata di Giappone, Cina e Paesi emergenti: proprio il Giappone oggi ha segnato un crollo dell'1,7% del Pil. Dall'altra c'è il rischio geopolitico dovuto ai conflitti nell'Europa orientale e in Medio Oriente. Con la crisi Ucraina che, scatenando una battaglia di sanzioni reciproche fra Ue e Russia, ha bloccato gli ordini di molti esportatori tedeschi, mettendo a rischio anche il secondo semestre 2014 nonostante le rassicurazioni della Bundesbank. Un quadro che rimette al centro dell'economia europea la Bce. Che potrebbe aprire il dossier del 'quantitative easing', l'acquisto massiccio di titoli di Stato per creare inflazione: non a caso, il pressing sulle riforme strutturali su Paesi come Francia e Italia non è mai stato così incalzante ed esplicito
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