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Art. 18, ecco di cosa parliamo

Art. 18, ecco di cosa parliamo

Mappa di una norma al centro del dibattito

ROMA, 02 settembre 2014, 17:12

Redazione ANSA

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Il presidente del Consiglio Matteo Renzi - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi - RIPRODUZIONE RISERVATA
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi - RIPRODUZIONE RISERVATA

Articolo 18 sì o no. Per alcuni (Cgil) è un baluardo ineliminabile, per altri (il centro-destra) un totem superato. Per Renzi, semplicemente, non è e non sarà un problema.

Ma di cosa si parla, cosa dice, quando è nato perché l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? Lo spiega, in modo chiaro e, forse, post-ideologico, sul suo blog Corrado Chiominto. Ecco qui.

Governo, l'art.18 non è il problema, Germania modello
Jobs Act entro anno. Renzi, ampia maggioranza su tutele crescenti 
Il premier Matteo Renzi rivendica i risultati "immediati" e "concreti" del decreto Poletti e rilancia sulla delega, il cosiddetto Jobs Act, ora all'esame del Senato. Un disegno di legge che, sottolinea il presidente del Consiglio, "speriamo di poter approvare il prima possibile, ragionevolmente entro l'anno". Il provvedimento è chiamato a riformare il mercato del lavoro, guardando, avverte, alla "Germania", che è "un nostro modello, non un nostro nemico". Quanto all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, spazza via ogni dubbio: non è il problema, "non lo è mai stato e non lo sarà".

E, puntualizza, "riguarda circa 3.000 persone l'anno in un Paese di 60 milioni" di abitanti. Nella conferenza sui 'mille giorni', Renzi dedica ampio spazio ai temi del lavoro. D'altra parte, proprio nell'homepage del portale 'passodopopasso' campeggia una finestra che dà notizia di un'occupazione in aumento tra febbraio e luglio. Citando dati Istat il governo, infatti, calcola come in quell'arco di tempo, che ha visto diventare legge il dl Poletti, le persone a lavoro siano passate da 22.316.331 a 22.360.459 (+0,2%, pari 44.128 unità). Ora però la partita si gioca sul terreno del Jobs Act, l'appuntamento è fissato a giovedì 4 settembre, quando riprenderà l'esame in commissione a palazzo Madama. Le aspettative non sono da poco: con la delega "riscriviamo lo Statuto dei lavoratori, cambiamo gli ammortizzatori sociali, il che vuol dire guardare la luna anziché il dito", rimarca Renzi. Soprattutto il ddl apre a nuove tipologie contrattuali volte a favorire l'inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti. Si tratterebbe di sospendere l'applicazione dell'articolo 18, che tutela dai licenziamenti senza giusta causa, per un massimo di 3 anni. Un punto che, secondo il premier, potrebbe raccogliere "un'ampia maggioranza in ambito parlamentare". Altri ritocchi all'articolo 18 - Ncd aveva richiesto il suo superamento completo - non sarebbero invece all'ordine del giorno. Renzi mette da parte l'ideologia e affronta l'argomento a partire dai numeri: "i casi risolti sulla base dell'articolo 18 sono circa 40 mila" l'anno, di questi l'80% si chiude "con un accordo".

Ne rimangono quindi 8 mila, "in 3.500 il lavoratore perde totalmente", negli "altri 4-500 mila casi invece vince", con, spiega, i "due terzi", che si concludono con "il reintegro". Lo spauracchio che allontanerebbe gli investitori dall'Italia, costringendo a riassumere il dipendente licenziato, riguarderebbe così "3 mila persone". Il polverone sulla norma, per altro già rivista dalla riforma Fornero (con nuovi limiti per il reintegro) è il solito "evergreen" sintetizza Renzi, che "puntuale arriva una volta l'anno".

Tuttavia Ncd non molla, per Fabrizio Cicchitto infatti "il problema non può essere liquidato dando cifre sul contenzioso". L'impresa per il premier è piuttosto, sempre dati alla mano, passare da un codice del lavoro fatto "da 2 mila norme" a sole "50-60-70". L'obiettivo del premier è chiaro: "rendere il nostro mercato del lavoro come quello tedesco". Un modello senz'altro vincente, visto che la disoccupazione è stata dimezzata, anche se ci sono voluti 10 anni. Renzi va anche nel dettaglio, sottolineando come "il sistema di formazione duale - con l'alleanza scuola-lavoro - funzioni". Già applicato in Alto Adige andrebbe esteso "progressivamente in tutta Italia". Il premier invece prende le distanze da altre ricette: "non credo che l'Italia debba essere il Paese che produce a meno, con un costo minore, degli altri le cose che fanno tutti". Insomma, non ci si riprende abbassando i salari.

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