Da Bruxelles arriva il 'no' all'estensione del meccanismo del 'reverse charge' per il pagamento dell'Iva alla grande distribuzione. Un problema per il Governo che aveva valutato l'effetto in 700 milioni in Legge di Stabilità. L'applicazione della norma non avrebbe cambiato nulla per i consumatori finali perche' nell'ultimo passaggio sarebbe spettato al commerciante il versamento sia della quota di Iva sull'acquisto del bene sia sulla vendita finale. Per il fisco, invece, sarebbe cambiato molto perchè - sosteneva il Governo - si sarebbero bloccate alcune forme di evasione piuttosto diffusa, eliminando anche la formazione di crediti fiscali.
Le vecchie regole prevedono che il produttore vende la merce con l'Iva che incassa e versa, l'intermediario paga la merce con l'Iva e la rivende applicando l'Iva all'acquirente successivo, ma prima andare alla cassa del fisco deve vedere se ha un debito o se tra Iva-acquisto e Iva-vendita vanta un credito. Cosi' la filiera prosegue fino alla fine, quando l'acquirente finale paga l'importo piu' alto e la relativa Iva che pero' viene versata dal commerciante. Il reverse charge ''rovescia'' il concetto. A versare concretamente l'Iva non e' piu' chi vende ma chi acquista, con una sorta di autofattura sul venditore (che quindi non potra' piu' far finta di non aver venduto la merce). Solo nell'ultimo passaggio il commerciante paga l'Iva sull'acquisto e l'ulteriore quota che applica sulla vendita.
Ma la Commissione ha deciso appunto che tale ipotesi "non è in linea con l'articolo 395 della direttiva sull'Iva".
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