Mario Draghi rilancia il suo appello alle riforme strutturali con un deciso endorsement alla contrattazione aziendale. E il presidente della Bce, divenuto di fatto agente di primo piano nelle scelte di politica economica dell'Eurozona, chiede che l'economia flessibile entri nel Dna degli europei, al punto da dare all'Ue i poteri di governance sulle riforme oggi appannaggio dei governi nazionali. A Sintra, Portogallo, Draghi presiede la seconda edizione del simposio Bce dedicato quest'anno a inflazione e disoccupazione: inevitabile toccare liberalizzazioni, mercato del lavoro, velocizzazione della pubblica amministrazione. Ma Draghi, che conclude ogni conferenza stampa con il suo appello a queste riforme (citate in un intervento su tre dei membri del direttorio Bce, contro appena il 2% della Fed), questa volta allarga il campo. Nota le prospettive di crescita dell'Eurozona "mai state così positive negli ultimi sette anni", il buon lavoro di Spagna e Italia che "hanno riformato i loro mercati dei prodotti e del lavoro". Ma anche il potenziale di crescita dei 19, sceso dopo la crisi sotto l'1% contro il 2% degli Usa. Serve una svolta (anche per rendere i debiti più gestibili) che per la Bce passa per le riforme. Per la prima volta Draghi entra nei meccanismi contrattuali, con parole che, in Italia, paiono un endorsement al decentramento della contrattazione salariale di cui la Fiat di Sergio Marchionne è stata alfiere. L'esempio della Germania (che negli anni '90 ha radicalmente reso più flessibile il mercato del lavoro) mostra, secondo i dati della Bce, che durante le crisi le imprese che applicano la contrattazione aziendale "hanno ridotto gli occupati meno di quelle vincolate dalla contrattazione centralizzata".
Una rivoluzione copernicana per Paesi, come l'Italia, dove la contrattazione collettiva è dominante. Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, non replica sul punto ma si limita a osservare che la previsione di ripresa di Draghi sia "facile dopo sette anni tutti di arretramento", e che in Italia "la disoccupazione continua ad essere a due cifre (13% contro il 4,7% della Germania, ndr)". Chi invece replica a Draghi sulla contrattazione è il leader della Uil, Carmelo Barbagallo. "Le considerazioni del presidente della Bce a proposito dei due livelli di contrattazione ci lasciano perplessi", dice. "La Uil ha definito una proposta di riforma del sistema contrattuale che prevede un sostanziale necessario rafforzamento della contrattazione aziendale, ma non esclude la contrattazione nazionale come riferimento comune a tutti i lavoratori di ogni singola categoria". I due livelli "non sono e non possono essere in alternativa né in contrapposizione", spiega Barbagallo. Il paragone Italia-Germania potrebbe spingere a favore della liberalizzazione del lavoro per cui spinge Draghi, se non fosse che fra le altre cose Berlino, accanto al basso costo del lavoro, ha un complesso sistema di tutele, formazione, assistenza alla famiglia, casa, scuola che in Italia appare fantascienza. Draghi non entra nei dettagli. Ha già apprezzato pubblicamente il Jobs Act, guarda con interesse alla riforma della p.a. (l'Italia è in fondo alle classifiche snocciolate da Draghi quanto a facilità del fare impresa). E incoraggia sulle liberalizzazioni, dove (secondo l'istituto Bruno Leoni) l'Italia resta fanalino di coda in Europa quanto ad apertura al mercato. Gli occhi sono puntati dunque sul ddl concorrenza, dove farmacie, notai, ordini professionali promettono battaglia. E' in questo contesto, ampliato ai 19, che Draghi torna sulla governance europea delle riforme (perché sono "legittimo interesse dell'intera unione"). Il tema non è destinato a sfociare in una imminente riscrittura dei trattati. Tuttavia la moral suasion del presidente della Bce è stata fra le maggiori spinte propulsive del Fiscal Compact, per citare un esempio. Un intervento incentrato sulle riforme che occupa 10 pagine non è quindi puro esercizio retorico.
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