L'Italia ha sbloccato formalmente il finanziamento al fondo europeo da tre miliardi di euro per la Turchia, ma considera la flessibilità "un diritto" e si aspetta che sarà applicata - e quindi esclusa dal calcolo del deficit - su tutto quanto speso "dall'inizio della crisi in Libia". Un importo che - come ribadisce il ministero dell'Economia in una nota - ammonta allo 0,2% del Pil. "Non c'è quindi alcuna richiesta aggiuntiva" di flessibilità, insiste via XX Settembre, sottolineando di aver inviato a Bruxelles "evidenza dell'incremento di spesa dovuto alle circostanze eccezionali" per i migranti sbarcati sulle coste italiane dal Nord Africa. Intanto da Strasburgo Jean Claude Juncker si mostra spazientito con i governi che "si occupano dei loro problemi invece che di quelli dell'Europa". Rintuzza "certi colleghi" che contestano il diritto della Commissione di valutare i bilanci, rivendica con forza che sono i Trattati a stabilirlo ma assicura che l'esecutivo "svolgerà il suo ruolo senza seguire stupide politiche di austerità".
E scandisce: "La Commissione ha introdotto flessibilità che sono ampiamente sufficienti da permettere, anche agli Stati più in difficoltà, di presentare bilanci che rispettino tutte le regole". L'ok di Roma al finanziamento che deve aiutare Ankara a frenare il flusso di rifugiati verso la Grecia e la rotta balcanica è stato formalizzato nella riunione degli ambasciatori dei 28 (il cosiddetto Coreper) in cui è stato approvato il testo giuridico dell'accordo politico: un miliardo verrà versato dalla Commissione attingendo al budget comunitario, gli altri due miliardi saranno versati dagli stati membri. La quota italiana è di 224,9 milioni, la quarta più alta dopo Germania (427,5 mln), Gran Bretagna (327,6 mln) e Francia (309,2 mln). Ma dando il via libera di Roma, l'ambasciatore italiano Stefano Sannino ha fatto mettere a verbale una nota in cui si specifica che il governo "si attende che la Commissione Ue usi un approccio coerente non prendendo in considerazione ai fini del calcolo del deficit l'intero dei costi sostenuti dall'Italia dall'inizio della crisi in Libia" perché - come specifica in serata il Tesoro - "le coste italiane sono sempre state interessate dallo sbarco di migranti provenienti dal Nord Africa". Sulla partita per la flessibilità, alla vigilia della presentazione delle previsioni economiche d'inverno, oggi sono tornati tanto Jean Claude Juncker quanto Piercarlo Padoan. In un incontro con il collega britannico George Osborne all'Aspen a Roma, il ministro dell'Economia ha sottolineato che l'Italia chiede "una gestione della politica fiscale più flessibile in base a regole che l'Europa ha stabilito, non che ci stiamo inventando". Ha sottolineato che "lo sforzo" sulle riforme portato avanti dal governo "ci dà diritto" alla flessibilità sui conti pubblici. Ed è tornato a pressare la Commissione perché la smetta di tenere in sospeso la spada di Damocle. Martedì il Commissario Pierre Moscovici da Strasburgo ha lanciato un appello perché finiscano le polemiche e Roma attenda il mese di maggio, quando saranno presentate le valutazioni delle finanziarie.
Ieri Padoan ha controreplicato: "Ci auguriamo che la risposta sull'ammissibilità delle nostre richieste sia sciolta presto per evitare di continuare ad avere un'incertezza che non aiuta la crescita". Il ministro non ha fatto cenno a estensioni delle richieste già presentate a ottobre al momento del deposito della Finanziaria. Ovvero: 0,5% del Pil per le riforme (0,1 punti in più rispetto a quanto allo 0,4% già accordato da Bruxelles lo scorso anno), 0,3% per gli investimenti e 0,2% per i rifugiati. "L'impostazione di politica economica del Governo quest'anno e negli anni successivi - ha affermato Padoan - non cambia" e punta su riforme strutturali e investimenti pubblici "che permetteranno di utilizzare le clausole di flessibilità". L'Italia, ha insistito, "non chiede nulla di incompatibile con quelle regole" e "non chiede ulteriore flessibilità: non stiamo chiedendo nulla di nuovo rispetto a quanto previsto dalla legge di stabilità".
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