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Dalle banche al debito, così il caso-Italia frena le riforme Ue

Dalle banche al debito, così il caso-Italia frena le riforme Ue

Lo scontro sul deficit rischia di congelare revisione trattati

ROMA, 05 novembre 2018, 11:08

Domenico Conti

ANSACheck

Il ministro dell 'Economia, Giovanni Tria, all 'Eurogruppo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il ministro dell 'Economia, Giovanni Tria, all 'Eurogruppo - RIPRODUZIONE RISERVATA
Il ministro dell 'Economia, Giovanni Tria, all 'Eurogruppo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Dagli investimenti pubblici a una politica di bilancio europea più equilibrata e coordinata, il governo Conte, pur non brillando per europeismo, è nato facendo propria la necessità di alcune importanti riforme europee. Tuttavia lo scontro con le istituzioni Ue e con alcuni partner, ora incentrato sulla manovra, rischia di frenare ulteriormente le trattative già difficili su alcuni capitoli di riforma che all'Italia stanno particolarmente a cuore: dalle banche al debito pubblico. E in questo momento sta offrendo ad alcuni paesi la scusa perfetta per tirarsi indietro

E' quello che racconta una fonte vicina alle trattative, ora che si avvicina la stretta finale per il rafforzamento del fondo di risoluzione bancaria e su come rendere più efficace il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), o fondo 'salva-stati'.

La tabella di marcia è accelerata: si parte già questo lunedì, quando l'Eurogruppo a Bruxelles discuterà non solo le bozze di bilancio ma, in versione allargata ai ministri dell'Ue, anche il capitolo dedicato a come rafforzare l'Unione economica e monetaria. I ministri ne torneranno a discutere il 19 novembre e di nuovo il 3 del mese successivo, prima del Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre che sarebbe dovuto essere decisivo.

Un tema che non sembra essere alto nella scala delle priorità del governo Conte. Già nei giorni scorsi, quando il Parlamento europeo ha proposto il nuovo presidente della Vigilanza bancaria (Daniele Nouy scade a breve), ha fatto scalpore l'assenza dell'europarlamentare leghista Marco Zanni: il suo voto mancato è stato decisivo nella mancata indicazione dell'italiano Andrea Enria, presidente dell'Autorità bancaria europea, come primo candidato.

Ma, al di là dell'impegno italiano, in un'Europa già in difficoltà per crisi politiche interne e diversità di vedute fra Parigi e Berlino, il 'caso-Italia' contribuisce a una situazione in cui - come racconta la fonte - "non c'è abbastanza fiducia reciproca" per una svolta sulle riforme. Dal presidente della Bce Mario Draghi al direttore del Fmi Christine Lagarde, negli ultimi mesi si era intensificato il pressing per dare all'Ue una dotazione di bilancio che facesse da stabilizzatore macroeconomico: ad esempio sostenendo la domanda quando i Paesi sono costretti a una stretta di bilancio.

Un tema che fatica persino a fare capolino nei programmi dei ministri a Bruxelles. Draghi, artefice dell'Unione bancaria, si è poi speso fino all'ultimo per il suo completamento, attraverso l'assicurazione sui depositi e il potenziamento del Fondo di risoluzione, quello che deve liquidare le banche. E' "realistico" che a dicembre si faccia un passo avanti sull'utilizzo del Mes come sostegno finanziario al fondo di risoluzione: "dopo tanti negoziati non ci si può permettere un nulla di fatto", spiega la fonte.

Ma per quanto riguarda le altre riforme del Mes - ad esempio rendere più facile l'accesso a interventi precauzionali - l'iniziativa italiana, con un Documento di economia e finanza (Def) che agli occhi di Bruxelles non ridurrà efficacemente del debito, sembra aver offerto argomenti validi ai paesi che chiedono che vengano introdotti meccanismi che "tengano conto della sostenibilità del debito, il che significa anteporre la riduzione dei rischi alla loro condivisione", spiega la fonte. Emblematica l'uscita dei dieci Paesi nordici - dalla Danimarca all'Olanda - a favore di una maggior responsabilità nazionale sulle perdite dei titoli sovrani.

Un macigno per l'Italia, che ha il primo debito pubblico (in valore assoluto) dell'Eurozona. Sull'assicurazione comune dei depositi, poi, che l'Italia ha sempre invocato a gran voce a tutela dei correntisti ora che c'è il 'bail in', pende la Spada di Damocle della ponderazione dei rischi relativa ai titoli di Stato, particolarmente 'pesanti' nel portafoglio delle banche italiane. "C'era un'ipotesi di compromesso, ora appare tutto vago e non s'intravede una svolta", conclude la fonte. Mentre sembra in alto mare anche la richiesta, spesso evocata in Italia, della 'golden rule', scorporare la spesa per investimenti dai conteggi del patto di stabilità. Anziché spuntare concessioni dall'Europa, la linea dura scelta dal governo rischia il contrario: la chiusura di tutti verso i rispettivi nazionalismi, facendo probabilmente il gioco di Mosca e Washington.
   

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