Le tasse non devono aumentare e quindi l'Iva non si tocca. Il rischio di un deciso rialzo dell'imposta sui consumi resta al centro delle tensioni della politica, anche all'interno della stessa maggioranza. Perché se da Matteo Salvini e Luigi Di Maio arriva un secco "niet" a qualunque rincaro del prelievo fiscale, diretto o indiretto che sia, meno decisa appare la posizione del 'custode' dei conti pubblici, Giovanni Tria, che ricorda che l'aumento al momento è "confermato" in attesa che si trovino le "alternative". L'obiettivo è di evitare rialzi ma tocca alla politica, è il messaggio, decidere il da farsi. "L'Iva non aumenterà" è una frase che il ministro dell'Economia non pronuncia mai. Nemmeno davanti alle commissioni che lo ascoltano sul Def - e alle opposizioni che lo incalzano - il titolare di via XX settembre si impegna, come ha fatto per cinque anni di fila il suo predecessore Pier Carlo Padoan, a escludere esplicitamente un innalzamento delle aliquote che per ora è nelle cose, nella "legislazione vigente", e domani si vedrà. Le clausole di salvaguardia, che per il 2020 pesano per 23,2 miliardi, sono da anni il capestro che taglia i margine di azione dei governi, stretti tra il contenimento dei conti e la necessità di spingere il più possibile la crescita con manovre espansive. Sarà la politica ad assumersi la responsabilità della scelta, dice il ministro, ma non a caso accompagna queste parole con il monito sulla necessità di "rispettare gli obiettivi di bilancio". Le risorse "ci sono sempre" il punto è scegliere "dove metterle". Più esplicita la vice Laura Castelli secondo cui nella prossima manovra ci sarà la "sterilizzazione dell'Iva" anche grazie al lavoro su spending, riforma Irpef e tax expenditures.
L'Italia, assicura Tria, è fuori dalla recessione e ha fatto per il prossimo triennio stime "equilibrate" e in linea con le principali previsioni internazionali, in un quadro che risente del rallentamento di tutte le principali economie e che mostra, però, primi segnali "incoraggianti" di ripresa. Roma però ha messo in cantiere uno sforzo "significativo" di aggiustamento dei conti che peserà sulla crescita, anche se il percorso è più lento, dice il ministro, contando su risultati migliori sia dei due decreti Sblocca cantieri e Crescita - che dovranno ripassare tra domani e dopo Pasqua in Consiglio dei ministri per l'approvazione finale - sia da possibili effetti di "retroazione positiva" di un eventuale calo dello spread. Il differenziale sui titolo di Stato è ancora troppo alto e sul suo andamento pesano non solo le scelte di politica economica ma anche, avverte il ministro, "gli orientamenti che il Parlamento avrà sul Bilancio".
La risoluzione che la maggioranza sta mettendo a punto, e che sarà votata contemporaneamente alla Camera e al Senato, dovrebbe contenere le principali richieste delle due anime del governo: la flat tax ma in un percorso di riforma che inizia dai ceti medi (come recita il compromesso tra Lega e M5S scritto anche nel Def) e un riferimento alle clausole Iva. Nei giorni scorsi si ragionava di una formulazione 'soft', per evitare di legarsi troppo le mani con un "impegno" molto difficile da mantenere: sterilizzare le clausole in deficit, via che si è perseguita spesso negli anni scorsi, farebbe schizzare l'indebitamento decisamente oltre il 3% (il 3,4% nel 2020), e trovare le famose "misure alternative" attraverso la spending o la lotta all'evasione risulta "complesso", come ha detto l'Upb, e incerto. Alla fine Lega e Movimento dovrebbero chiedere al governo l'impegno a sterilizzare le clausole ma compatibilmente con i saldi di finanza pubblica. "Finché il M5S sarà al governo non ci sarà nessun aumento" assicura però Luigi Di Maio, mentre Matteo Salvini proclama l'impegno solenne della Lega perché, dice, "siamo al governo per abbassare le tasse, non per aumentarle". E, certo, "il ministro dell'Economia da sempre deve avere nella prudenza la sua dote migliore" ma "noi stimoleremo un po' di coraggio".
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