(di Chiara De Felice)
Dopo sindacati e imprese tocca agli
enti locali confrontarsi con il governo sulla prossima manovra
di bilancio, toccando uno dei nervi scoperti per le Regioni,
ovvero la sanità, ma anche la spesa sociale tanto cara ai
Comuni. Sul piatto ci sarebbero più soldi per il Fondo sanitario
nazionale ma anche l'aumento del contributo delle Regioni alla
finanza pubblica, un'operazione praticamente a somma zero
necessaria per non incrinare i conti.
I margini di manovra per l'anno prossimo sono strettissimi e
il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, lo ribadirà
domani in Cdm ai colleghi, illustrando le cifre definitive del
Piano strutturale di bilancio. La crescita, all'1% quest'anno
come previsto già dal Def, salirà all'1,2% nel 2025 e 2026, il
deficit calerà sotto il 3% nel 2026, mentre il debito
sorprenderà al rialzo, e sempre per il solito responsabile cioè
il Superbonus.
Nell'incontro con il ministro, l'Anci ha riscontrato
l'impegno a contenere i vincoli sui Comuni e un'attenzione
specifica sulla spesa sociale, soprattutto quella destinata ai
minori nelle strutture d'accoglienza. Il presidente Roberto
Pella parla di uno "spirito costruttivo che darà i suoi frutti".
Le Regioni hanno invece appreso dell'ipotesi di aumentare il
Fondo sanitario nazionale per non ridurre il rapporto tra spesa
sanitaria e Pil: al momento si parla di 900 milioni al netto
degli aumenti contrattuali, cifra che andrà rivista alla luce
del valore del Pil per essere coerente con l'obiettivo del
governo di una spesa sanitaria sopra l'1,5% del Pil. Verrebbe
però mantenuto l'attuale contributo delle Regioni alla finanza
pubblica, già salito nel 2024 da 305 a 350 milioni di euro,
tanto che le Regioni chiedono di tenere aperto il confronto per
arrivare ad una cifra più contenuta.
La spesa sanitaria sopra l'1,5% è tra le "inderogabili
decisioni" del governo, anche se "questo significa che altre
spese devono essere più basse", aveva detto Giorgetti ai
sindacati. L'altra priorità è rendere strutturali il taglio del
cuneo e la riforma dell'Irpef, e sui contratti di lavoro
pubblico, c'è l'impegno "a recuperare i valori dell'inflazione,
ovvero circa il 2% annuo".
Lo spazio per fare altro è davvero poco, nonostante nel Psb
la crescita per il 2024 verrà confermata all'1%, e i prossimi
due anni salga all'1,2%. Sarà un aiuto al deficit che
quest'anno, grazie alle maggiori entrate, parte dal 3,8% invece
del 4,3% indicato nel Def. Con la tagliola della spesa netta
fissata dalle regole europee all'1,5% di media, il deficit
calerà almeno al 3,2% nel 2025, e nel 2026 si guadagnerà
l'uscita dalla procedura d'infrazione scendendo al 2,7%. Ma
Giorgetti ricorderà ai colleghi in Cdm il peso del debito,
cresciuto a causa dei vari bonus edilizi a cominciare dal
Superbonus 110, spiega il Mef. Nonostante gli interventi degli
ultimi anni per frenare gli effetti della maxi agevolazione, il
debito continuerà a gonfiarsi per i crediti che ancora devono
essere smaltiti dallo Stato: dal 134,8% dell'anno in corso
salirà al 137,1% nel 2025 e al 138,3% nel 2026.
Con un Psb "prudente e responsabile", resta l'esigenza di
trovare altre risorse. Il ministro chiarisce che "noi chiediamo
un contributo a tutti quelli che se lo possono permettere
cercando insieme la strada migliore per raggiungere gli
obiettivi". Si studiano quindi diverse strade con diversi
soggetti, in particolare "chi ha maggiormente beneficiato di
condizioni particolarmente favorevoli". Non saranno tasse sugli
extraprofitti, ribadisce il Mef. Anche perché, ricorda il
presidente dell'Abi Antonio Patuelli, "non esistono gli
extraprofitti" in nessuna dottrina, e le banche italiane finora
sono state tutte salvate "con i contributi obbligatori delle
banche concorrenti", non con fondi pubblici. Resta però la
disponibilità ad aiutare, con un anticipo di liquidità o un
contributo volontario, ed è quello che si sta discutendo. Purché
bilanci e patrimonio vengano salvaguardati.
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