La mattina di venerdì 13 marzo visitavo il Museo del Bardo di Tunisi. Cinque giorni dopo un commando jihadista vi ha fatto irruzione, seminando morti e feriti. Accompagnato da una guida locale, Salah Matmati, e insieme a una collega italiana, Maria Albanese, mi aggiravo per le sale che custodiscono la più grande collezione mondiale di mosaici romani, che le raffiche della strage messa a segno dai fondamentalisti islamici potrebbero aver danneggiato. Il Museo nazionale del Bardo è contiguo al palazzo del Parlamento, un edificio basso alla sua destra, sorvegliato a vista da militari armati. Davanti al museo veniamo accolti dal crepitio di colpi d'arma da fuoco, ma Salah, la guida, ci rassicura. Oltre l'alto muro di cinta si intravede infatti una caserma dell'esercito dove sono in corso esercitazioni di tiro. Forse anche per questo motivo la zona, all'apparenza, non sembra presidiata in misura massiccia dalle forze dell'ordine, malgrado si tratti di un obiettivo "sensibile".
All'ingresso del museo, una costruzione moderna che costituisce un'estensione dell'antico palazzo, spicca sulla parete un mosaico di oltre cento metri quadrati che raffigura scene marine dove al centro troneggia il dio Nettuno. Il Trionfo di Nettuno è solo la prima opera di una serie interminabile: da Perseo che libera Andromeda a Ulisse e le sirene, dai Ciclopi che forgiano i fulmini di Giove a Teseo e il Minotauro. Le 34 sale del Bardo, il più importante museo della Tunisia inaugurato nel 1888, ospitano infatti migliaia di metri quadrati di mosaici di epoca romana e bizantina. Al suo confronto la Villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia, che non a caso fu realizzata da maestranze provenienti dall'Africa, costituisce solo un piccolo esempio della bravura degli artigiani locali.
La collezione di mosaici finisce con l'oscurare gli altri tesori custoditi nel museo: dalle statue di epoca ellenistica ad importanti reperti del periodo punico. Eppure, nonostante questo enorme patrimonio storico e archeologico, sono pochi i visitatori che incontriamo all'interno del Museo che possiamo visitare circondati dal più silenzio più assoluto. Quando usciamo dal museo veniamo risucchiati dall'atmosfera che si respira nelle strade di Tunisi: migliaia di giovani affollano i locali pubblici, dalla Medina ai quartieri residenziali, ed è frequente la presenza di militari della Guardia Nazionale che controllano le zone nevralgiche della Capitale. Più tardi incontriamo Selma Ellouni Rekik, ministro del Turismo, una donna affabile il cui ruolo rimarca il carattere laico del Governo locale. Le parole del ministro, rilette oggi, documentano come il Paese sia stato colto alla sprovvista dall'attacco dei fondamentalisti: "La Tunisia è un Paese sicuro che può essere visitato tranquillamente", assicurava infatti Selma Ellouni Rekik, tutta protesa a smentire "notizie allarmistiche circa presunti rischi legati al terrorismo islamico".
La rappresentante del governo tunisino, che aveva scelto di incontrarci nel suo elegante appartamento alla periferia della capitale, non nascondeva tuttavia la persistenza di uno stato di apprensione a causa della situazione di instabilità nella confinante Libia, con le truppe dell'Isis che avanzano. "Tutto questo - osservava - certamente non aiuta ma le nostre frontiere sono assolutamente impermeabili. La situazione è sotto controllo". La tragedia di oggi, alla luce di quelle parole, assume allora la valenza di un colpo di mano preparato con cura, del quale i servizi tunisini non hanno captato segnali premonitori.
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