La prima cosa che imparano è ‘Slava Ucraina, heroyam slava’, inno all’Ucraina e ai suoi eroi. Poi gli mettono un kalashnikov in mano e inizia l’addestramento, non più di 15 giorni, che apre le porte al fronte. Sono decine i foreign fighters che ogni settimana sbarcano a Kiev, zaino in spalla, per partecipare alla guerra contro i pro russi. Contattano via Facebook i gruppi volontari, in primis Pravy Sektor, composto da nazionalisti ucraini e in minima parte da stranieri, e battaglione Azov, prendono un aereo e via. Tutto molto semplice.
“I combattenti stranieri – spiegano i paramilitari ucraini – ci danno una mano. Ce ne sono di tre tipi: quelli alla ricerca di emozioni forti, gli idealisti che credono nella nostra lotta, e i mercenari che vogliono di mantenere l’’allenamento’ in attesa di un contratto”. Questi ultimi sono i più numerosi. Professionisti della guerra, arrivano da mezza Europa (Italia compresa), dagli Stati Uniti e dall’Australia. Non vengono pagati ma gli viene garantito cibo e alloggio, oltre a kalashnikov e munizioni.
“Sono stato in Somalia e in Libia – spiega Jakob, trentenne austriaco – e in attesa di un nuovo incarico ho deciso di venire qui per non perdere l’abitudine a stare in guerra. Mi sono presentato al battaglione Azov (di ispirazione nazifascista, ndr) ma non mi hanno accettato perché ho la pelle troppo scura. Così sono passato al Pravy Sektor e ora combatto con loro”.
Lucas, poco più che ventenne, svizzero, con un passato nella Legione straniera, si è arruolato con Azov e poi è passato a Pravy Sektor: “Gli altri mi avevano dato un ruolo nelle retrovie mentre io voglio andare in prima linea”, spiega. Aleksei, invece, è un ultraortodosso russo ed è fuggito con tutta la famiglia dopo aver partecipato a violente manifestazioni contro Putin. “Sono scappato nel bosco quando sono venuti a cercarmi a casa e dopo un difficile viaggio sono arrivato in Ucraina. Qui mi hanno accolto e ho deciso di sdebitarmi combattendo”. Ora spera che gli venga data la nazionalità ucraina, le pratiche sono state avviate.
Ahmad è afgano, sul volto porta i segni della guerra. Ha girovagato per l’oriente, da un conflitto all’altro, prima di arrivare in Ucraina: “Ho combattuto contro i russi per anni e ora sono qui. Ma io non lo faccio per soldi, le nostre tradizioni ci insegnano che si combatte solo per la verità”. Molti di loro finiscono nelle zone più calde del Donbass, da Peski a Marinka, intorno all’aeroporto di Donetsk dove si continua a sparare e a morire ogni giorno.
Il ‘visto di ingresso dura sei mesi, terminati i quali devono rientrare in patria dove rischiano di avere problemi con la Giustizia. Per questo la maggior parte dei foreign fighters chiede il passaporto ucraino, una sorta di lasciapassare che può servire in tutto il mondo. Sul fronte separatista la situazione è analoga: i combattenti volontari arrivano a Rostov e da lì si spostano a Donetsk. Vengono addestrati e inquadrati nei battaglioni Somalia, Sparta, Vostok, oppure con i cosacchi. In particolare ci sono serbi, francesi, spagnoli, tedeschi, tutti con grande esperienza di guerra.
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