"Ho avuto paura. Ho detto 'qui muoio'. Poi sono corso fuori. Adesso sto realizzando che sono vivo". Marco Semenzato, 34 anni, padovano, da nove mesi consulente al dipartimento educazione e cultura della commissione europea, è uno dei tre italiani rimasti feriti negli attentati a Bruxelles. Forse, deve la vita a quello zainetto con dentro il computer che aveva sulle spalle e che si è come volatilizzato dopo lo scoppio.
Si dice "fortunato" perché i segni dell'esplosione sono solo nelle ustioni alle mani, nel forte rossore del viso, nella barba e capelli bruciati; ben diverso dalla sorte toccata a chi era dietro di lui e che è stato colpito dallo scoppio. "Ero appena sceso dalla metro - dice Semenzato all'ANSA - e avevo fatto appena due gradini della scale per uscire. Eravamo una cinquantina. Io ero davanti. All'improvviso ho sentito un boato. Ho visto un bagliore. Ho capito subito che era un attentato, ma non volevo crederci. Ho pensato che stavo per morire. Sono stato spinto in avanti ma non sono caduto. Penso mi abbia protetto lo zaino che avevo con me. Ho cominciato a correre verso l'uscita. Appena fuori c'erano degli oggetti caduti ma assieme a un'altra persona li abbiamo spostati".
Semenzato dice di non aver visto persone morte, ma feriti sì.
"I soccorsi sono arrivati presto. Prima mi hanno aiutato degli operai che erano all'esterno". Una volta in ospedale è stato medicato per le ustioni alle mani e per quelle, più leggere, al volto. "Sono tutto rosso - dice adesso, mentre sullo sfondo si sentono le voci dei figli nella casa in un quartiere della capitale belga - con la barba bruciacchiata. Sì, ho avuto paura e penso che non entrerò mai più in una metro, non solo qui a Bruxelles. Ti senti intrappolato come un topo. Non è una bella sensazione". Adesso la domanda è perché: "Sono terroristi che hanno solo odio. Ma qui credo ci sia un problema che deve essere affrontato alla radice. Bisogna estirparli dalla società. E' il momento di fare cose concrete".
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