(di Valeria Robecco)
NEW YORK - Due sessioni di torture al giorno, botte, fame e nessun contatto con il mondo esterno: a raccontare cosa accade nelle prigioni del regime di Bashar al Assad in Siria è Mazen Darwish, giornalista e attivista, una delle personalità più impegnate nel campo dei diritti umani nel Paese mediorientale.
Darwish è direttore del Centro siriano per i media e la libertà di espressione e insieme a due suoi colleghi, Hani Zaitani e Hussein Ghreir, è stato arrestato nel febbraio del 2012 a Damasco, con l'accusa di "promuovere atti di terrorismo".
In realtà, secondo i suoi sostenitori, è stato imprigionato per aver diffuso notizie relative alle violenze del regime contro i ribelli. Parlando con un gruppo di giornalisti al Palazzo di Vetro dell'Onu, l'attivista - che ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui quello di Reporters sans frontières nel 2013 e il premio mondiale della libertà di stampa dell'Unesco nel 2015 - ha raccontato gli oltre tre anni trascorsi da detenuto nelle carceri di Assad, attaccando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la comunità internazionale per non essere riusciti a porre fine alla guerra nel suo Paese.
"Ogni detenuto subiva due sedute di tortura al giorno - ha spiegato - Molte volte i carcerieri non avevano neanche i nomi dei prigionieri, ma in questo caso la tortura non serviva ad ottenere informazioni, era una pura vendetta". Durante i nove mesi trascorsi nel braccio 'duro' del carcere, pensava che da lì nessuno sarebbe uscito vivo: "Ci torturavano con l'elettricità, ci picchiavano, pativamo la fame - ha detto - Ogni giorno c'era qualcuno che moriva al mio fianco, e credevo che poi sarebbe toccato a me". "Alcune guardie sapevano chi ero e nei loro occhi leggevo una sorta di rispetto, magari mi picchiavano meno forte ma non potevano fare altro - ha aggiunto - altrimenti rischiavano di essere imprigionate a loro volta".
Darwish ha raccontato che il regime cerca di fare leva sulla lotta all'Isis, "ma per combattere il terrorismo serve un governo che unisca i siriani contro gli estremisti, cosa che quello attuale non può fare". "Non puoi chiedere alle vittime di aiutare chi le ha imprigionate e torturate", ha concluso, precisando che finchè Assad sarà al potere non potrà tornare nel suo Paese, ma continuerà a combattere dall'esterno per la dignità delle persone e perchè i siriani possano vivere in uno Stato democratico.
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