Metal detector anche all'esterno, controlli lungo le strade d'accesso e ai varchi merci effettuati anche da militari, bonifiche ripetute dell'intero perimetro degli scali. In attesa di conoscere quel che è accaduto al volo Egyptair Parigi-Cairo, la sicurezza degli e negli aeroporti torna al centro delle discussioni degli apparati d'intelligence di mezzo mondo poiché, se verrà confermata l'ipotesi che si è trattato di un attentato, è evidente che c'è stata un'ennesima falla della sicurezza proprio in uno dei luoghi più sensibili tra quelli ritenuti a rischio.
Un problema che si ripete a due soli mesi di distanza dall'attentato all'aeroporto Zaventem di Bruxelles dove, ha denunciato la polizia, almeno 50 persone sono andate e tornate dalla Siria e ora lavorano nelle pulizie e ai duty free e potrebbero essere potenziali 'spie' dell'Isis. E proprio in seguito agli attentati nella capitale belga, l'Europa ha cominciato a valutare l'ipotesi di introdurre anche nei suoi scali un modello 'stile Tel Aviv'. Da decenni negli aeroporti israeliani si accede solo dopo rigidissimi controlli che prevedono i metal detector all'entrata degli scali per bagagli e persone più il controllo del biglietto e del passaporto.
All'interno, inoltre, migliaia di telecamere e una presenza costante dei servizi di sicurezza consente un controllo praticamente totale su chi entra e chi esce dagli scali. Anche negli Stati Uniti, dopo l'11 settembre, sono stati adottati controlli molto rigidi, che da allora hanno provocato code di ore ai varchi e ai check in. L'attacco all'America ha fatto sì che venissero prese ulteriori misure dalle compagnie: porte blindate per le cabine di pilotaggio, apribili solo dall'interno, controlli o addirittura divieti per tubetti del dentifricio, deodoranti, gel, scatole del trucco, bottigliette di profumo e d'acqua. Lo scorso 21 aprile, inoltre, i ministri dell'Ue hanno formalmente adottato il Pnr, il registro dei passeggeri ritenuto fondamentale per la lotta al terrorismo e l'individuazione dei foreign fighters. Ma ora è necessario accelerare le procedure per l'attuazione. Il punto è che, fanno notare tutti gli esperti di sicurezza, il rischio zero non esiste. E che le dimensioni molto variegate degli aeroporti europei, dove a decine di scali regionali si sommano hub con milioni di passeggeri l'anno come Londra e Parigi, non consentono un'unica strategia operativa. In Italia, ad esempio - dove il livello d'allerta è 2, vale a dire l'ultimo prima di quello che scatta in caso di attentato - nei principali aeroporti sono stati schierati anche i militari, che pattugliano sia l'esterno che l'interno dello scalo. E' inoltre stata rafforzata la vigilanza alle biglietterie, nelle zone esterne e lungo il perimetro e si sta incrementando la videosorveglianza: solo negli scali romani sono a disposizione duemila telecamere all'interno, 45 a circuito chiuso lungo il perimetro ed è stata avviata la sperimentazione di un sistema antintrusione avanzato, con 7 telecamere lungo un tratto particolarmente esposto.
Ma c'è un ulteriore problema, che ha ribadito anche oggi il ministro dell'Interno Angelino Alfano e che non vale certo solo per l'Italia. Negli aeroporti può anche esserci un "controllo molto efficiente ed efficace come avviene in Italia" ma, "purtroppo, non sono gli unici ad essere attaccati, come hanno dimostrato le stragi di Parigi o l'attentato alla maratona di Boston". "La verità - ha sottolineato Alfano - è che la guerra asimmetrica che si sta combattendo non contempla regole d'ingaggio. L'attacco dei terroristi è fuori da ogni regola e colpisce tutti indistintamente".
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