"I regimi non cadono per la penuria di cannoni, ma perché viene a mancare il consenso". Grigory Yavlinsky, leader di uno dei principali partiti di opposizione, non si fa illusioni: il risultato delle prossime elezioni politiche russe, in programma il 18 settembre, è già scritto.
Tuttavia è convinto che nel Paese stia iniziando a soffiare la voglia del cambiamento. Probabilmente se ne è accorto anche il Cremlino. Che infatti ha varato un poderoso piano di messa in sicurezza del consenso. Dunque queste elezioni, in un certo senso, sono un test cruciale, soprattutto in vista della contesa per la presidenza del 2018. Ovvero l'unico poltrona che conta davvero in Russia.
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L'economia che non tira è la principale preoccupazione dei vertici del regime. E' uno dei motivi che hanno spinto Viacheslav Volodin, tra i gran visir di Putin, con delega alla politica interna, ad allargare le maglie e permettere la possibilità - ma per ora è solo un'ipotesi - di una sorta di dissenso moderato. Nessuno vuole veder ripetersi le proteste di piazza del 2011, quando i russi scesero in strada per protestare contro i brogli che hanno piagato le scorse elezioni. Tant'è vero che a capo della Commissione Elettorale è stato rimosso l'odiato Vladimir Churov, sinonimo di truffa, e al suo posto è stata nominata Ella Panfilova, ex commissaria ai Diritti Umani.
Non una creatura del Cremlino ma una figura politica rispettata e apprezzata anche dalle opposizioni. Una mossa distensiva quanto - secondo i critici - irrilevante. "Chi vuole presentarsi alle elezioni può raccogliere tutte le firme che vuole, come prevede la legge, ma le commissioni elettorali locali sono libere di rigettarle: i partiti sono semplicemente avvisati di non nominare candidati indesiderabili", dice Andrey Pertsev del centro Carnegie di Mosca. Il vero filtro, dunque, avviene a monte, anni luce prima delle elezioni. E per chi non si piega, ci sono altri metodi. Le opposizioni extra-parlamentari sono ormai virtualmente estinte: il popolare blogger Alexei Navalni non è stato ammesso alle elezioni in virtù di due condanne per appropriazione indebita cucitegli addosso su misura e i partiti di Mikhail Kasianov (Parnas) e Grigory Yavlinsky (Yabloko) viaggiano a percentuali di gradimento talmente basse che rischiano di non superare la soglia di sbarramento (il 5%). L'opposizione 'di sistema' - il Partito Comunista di Gennadi Ziuganov, in sella dal 1993, i Liberaldemocratici di Vladimir Zhirinovski e Russia Giusta di Serghei Mironov, definiti appunto di sistema perché di fatto funzionali al potere putiniano - potrà negoziare su alcune questioni ma, scrive il Moscow Times, è "saldamente sotto il controllo del Cremlino". Eppure spazi per la sorpresa ce ne sono ancora, anche perché la legge elettorale è cambiata e i 450 deputati della Duma saranno scelti con un sistema misto tra proporzionale e maggioritario (vedi scheda).
L'istituto demoscopico Levada, nel suo ultimo bollettino prima di essere dichiarato 'agente straniero' ha indicato che solo il 31% dei russi dichiara di voler votare il partito di governo Russia Unita, in calo rispetto al 39% di luglio. Il dato si riferisce però a tutti gli intervistati, senza distinzione tra chi ha scelto di recarsi alle urne e chi, invece, non ha intenzione di votare o non ha ancora deciso. Tra chi invece ha scelto, e si recherà alle urne, il 50% confida di voler votare Russia Unita (dato in calo rispetto al 57% di luglio). Una forte crisi di consensi che potrebbe generare una reazione da parte del Cremlino. Se nessuno s'illude infatti che Russia Unita possa perdere le elezioni, un risultato troppo scadente darebbe il via a un profondo rimpasto di governo - la testa del premier Dmitri Medvedev, che è anche il segretario del partito, sarebbe la prima a saltare - che permetterebbe a Putin di presentare al Paese una prova tangibile di 'cambiamento'. E il totonomi è già iniziato.
Lo zar, d'altra parte, è impegnato in una profonda opera di rottamazione della vecchia guardia a favore di una generazione di 'uomini nuovi' 40enni definiti dai critici ancor più manovrabili proprio perché illustri sconosciuti. Parallelamente, se l'operazione 'gestione del consenso' (opportunamente affiancata dalla totalità delle emittenti televisive) non dovesse funzionare, Putin ha comunque varato nel corso dell'anno una serie di misure draconiane - come l'istituzione della Guardia Nazionale, corpo di polizia che risponde direttamente al presidente o l'inasprimento delle misure antiterrorismo, che in realtà sono un cappio per contrastare eventuali proteste di piazza - per minimizzare il rischio di ritrovarsi con un elettorato imbizzarrito. E da qui alle presidenziali del 2018 è solo un passo.