Nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989, le truppe dell'Esercito di liberazione popolare fecero irruzione in piazza Tiananmen e, malgrado gli appelli alla "desistenza", avviarono la "normalizzazione" della protesta degli studenti, reprimendola nel sangue con molti che finirono stritolati dai cingoli dei carri armati.
Sono passati tre decenni, ma Wu'er Kaixi, uno dei leader delle proteste del 1989, non ha mancato l'occasione per ribadire nel fine settimana, da Taiwan, l'orgoglio della partecipazione alle proteste ("perché agimmo") credendo nella democrazia come "l'ultimo uomo comune. Potrebbe non essere un tipo di cibo, ma ha un impatto sull'economia e sulla nostra vita quotidiana che ognuno può percepire", ha raccontato a un evento di tre giorni a Taipei, dedicato alla tragedia. "Probabilmente solo coloro che sono diventati ricchi avvantaggiandosi dei sistemi democratici potranno sentire che la democrazia non è importante. Sento tutto il senso dell'importanza della democrazia", ha aggiunto l'attivista, in esilio a Taiwan, nel resoconto dei media locali.
Mai come quest'anno, l'anniversario cade a Pechino così "indesiderato", tra le forti tensioni della guerra commerciale con gli Stati Uniti e la congiuntura economica dai profili incerti, proprio quando il presidente Xi Jinping ha chiamato alla mobilitazione per una "nuova Lunga Marcia".
Se la stabilità è l'ossessione del Partito comunista cinese, non sorprendono arresti e stretta preventivi che non hanno risparmiato neanche Wikipedia, la "libera" enciclopedia online, al bando da alcuni giorni per scongiurare ricerche scomode.
Con il 30/mo anniversario in arrivo, Amnesty International ha denunciato nuove persecuzioni ai danni di coloro che cercano di tenere una qualsiasi commemorazione. Nelle ultime settimane, la polizia ha arrestato, posto agli arresti domiciliari o minacciato decine di attivisti, compresi i familiari delle vittime. "Trent'anni dopo quel bagno di sangue è davvero il minimo che le vittime e le loro famiglie ricevano giustizia. Invece, il presidente Xi continua a praticare le stesse politica di chi lo ha preceduto: perseguitare coloro che chiedono la verità nel tentativo di cancellare la memoria del 4 giugno", ha commentato Roseann Rife, capo delle ricerche sull'Asia dell'organizzazione.
Difficile ricostruire i fatti, le responsabilità politiche e capire il numero di morti che il governo cinese ferma a 319, nel fondato sospetto che siano stati molti di più, diverse migliaia.
Alcune famiglie delle vittime o associazioni come 'Le Madri di Tiananmen', gruppo voluto dai genitori di 200 studenti, chiedono indagini e trasparenza con voce sempre più flebile.
"Il governo cinese deve rendersi conto che nessun tentativo di soppressione potrà mai cancellare l'orrore di quel massacro.
Un primo passo in direzione della giustizia sarebbe quello di consentire finalmente, anche ai genitori ormai anziani che 30 anni fa persero i loro figli, di commemorare le vittime di Tianamnen", ha aggiunto Rife.
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