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Siria: Putin frena Erdogan, pronta forza d'interposizione

Siria: Putin frena Erdogan, pronta forza d'interposizione

Le truppe di Assad a Manbij, ong in fuga. Pence ad Ankara. Già 275mila sfollati. Di Maio: 'La Turchia si fermi'

16 ottobre 2019, 09:14

Redazione ANSA

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I bombardamenti in Siria visti dal confine turco © ANSA/AP

I bombardamenti in Siria visti dal confine turco © ANSA/AP
I bombardamenti in Siria visti dal confine turco © ANSA/AP

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha detto a quello americano Donald Trump che Ankara "non dichiarerà mai un cessate il fuoco nel nordest della Siria", secondo quanto riferisce la tv turca Ntv, aggiungendo che Erdogan ha affermato di "non essere preoccupato" per le sanzioni Usa per l'offensiva. Parlando con giornalisti in aereo mentre rientrava da Baku il presidente ha aggiunto che l'ingresso delle truppe siriane a Manbij "non è un fatto negativo", a patto che "i militanti" della zona siano estromessi.

Intanto Vladimir Putin scende in campo e frena l'offensiva della Turchia di Erdogan nel nord della Siria. Da martedì pomeriggio l'esercito del presidente Bashar al Assad ha il "totale controllo" di Manbij, località strategica a ovest del fiume Eufrate, alle cui porte scalpitavano le milizie arabe filo-Ankara. La loro avanzata è stata bloccata sul nascere dall'arrivo delle truppe di Damasco, dopo che la Coalizione internazionale anti-Isis a guida Usa aveva ufficializzato il suo ritiro, e dallo schieramento della 'polizia militare' russa come forza d'interposizione sul perimetro della città, "lungo la linea di contatto tra gli eserciti siriano e turco". Un intervento che segna il primo vero stop all'incursione turca, nel settimo giorno dell'operazione militare 'Fonte di pace'. Anche Kobane sembra ormai fuori portata, con i soldati di Assad scortati dai russi pronti a occupare anche lì il posto lasciato vacante dagli americani.

Entro 24 ore arriverà poi in Turchia il vicepresidente americano Mike Pence, inviato da Donald Trump dopo le sanzioni per chiedere a Erdogan un cessate il fuoco. Ma il presidente turco non molla. "Presto metteremo in sicurezza" l'intero confine turco-siriano "da Manbij al confine con l'Iraq", ha promesso. Obiettivo: conquistare più terreno possibile per mettere al sicuro le frontiere e rimandare a casa i rifugiati. "Un milione in una prima fase, due milioni in una seconda tappa", ha spiegato il Sultano. Ankara, ha detto, ha "salvato dall'occupazione dei terroristi mille chilometri quadrati di territorio". E dalle colonne del Wall Street Journal è tornato a minacciare l'Europa: "La comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o cominciare ad accettare i rifugiati". Ma sull'offensiva turca continuano a piovere condanne.

"La Turchia è il solo responsabile dell'escalation" in Siria e "deve sospendere immediatamente le operazioni militari". Lo ha detto ieri il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un'informativa in Aula alla Camera, aggiungendo che la soluzione alla crisi siriana non può essere militare, e che l'offensiva turca sta avendo "effetti devastanti sul piano umanitario". L'Italia quindi, oltre alla sospensione delle esportazioni future di armi alla Turchia, avvierà "un'istruttoria dei contratti in essere" con Ankara. Intanto anche Gran Bretagna e Spagna si sono aggiunte alla lista di Paesi europei - dopo Italia, Germania, Francia, Olanda e Paesi scandinavi - che hanno sospeso la concessione di nuove licenze ad Ankara per forniture di equipaggiamenti militari. Per Londra, si tratta di "un'azione sconsiderata e controproducente, che dà forza alla Russia e al regime di Assad". Oggi ne parleranno a Bruxelles gli ambasciatori Nato e a porte chiuse si riunirà anche il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Sul campo, dopo il ritiro da Manbij e Kobane, i marines americani stanno abbandonando tutte le altre postazioni. A parte una piccola guarnigione che resterà nella base di Al Tanf, nel deserto siriano, i circa mille soldati a stelle e strisce finora in Siria verranno dislocati in Iraq e Giordania. Un vuoto subito riempito dai militari siriani e russi, in una staffetta di fatto che ha tagliato fuori le truppe di Ankara.

I curdi continuano a rispondere con raffiche di mortai verso le zone di confine, dove ieri sono morti altri due civili più a est, nella provincia di Mardin, portando a 20 il totale delle vittime in Turchia. Sul fronte curdo i morti tra la popolazione sono invece almeno 90, tra cui 21 minori, secondo l'ultimo bollettino dell'Ondus. Per Ankara, sono oltre 600 i combattenti nemici uccisi. Una cifra che l'Ondus fissa invece a 158, a fronte di 121 miliziani filo-turchi morti. Sempre più drammatica è la situazione degli sfollati interni, fuggiti dalle località di frontiera nelle provincie di Hasakah e Raqqa verso le zone interne. Secondo l'amministrazione del Rojava, i profughi sono 275 mila, tra cui 70 mila minori, come peraltro già denunciato ieri dall'Unicef. Ad aggravare la situazione è anche la fuga delle ong internazionali, tra cui Medici Senza Frontiere, il cui personale sta lasciando in queste ore il nord-est della Siria, soprattutto per il timore di restare intrappolato dopo l'arrivo delle forze di Assad, che ritengono la presenza di organizzazioni straniere nell'area, anche umanitarie, una forma di occupazione

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