L'incubo di Meriam forse sta per finire. La giovane donna cristiana sudanese condannata a morte per apostasia e che qualche giorno fa ha dato alla luce la sua bambina in carcere sarà liberata "entro pochi giorni". L'annuncio è stato dato dalle autorità del Sudan dopo settimane di mobilitazione e forti proteste da parte della comunità internazionale che ha accusato il Paese di comportamento "barbaro" e "arcaico".
La triste vicenda di Meriam, 27 anni, è cominciata lo scorso febbraio con la denuncia da parte di un parente. La colpa della donna: aver rinnegato la fede musulmana del padre e aver sposato un uomo cristiano nel 2011. Quindi, per il tribunale di Khartoum che l'ha condannata all'impiccagione, 'apostasia'. Non solo, il suo matrimonio viene annullato perché contrario alla sharia, la legge islamica in vigore in Sudan dal 1983. E lei, che ha già un figlio di quasi due anni, viene condannata anche a 100 frustate per adulterio.
Già incinta di otto mesi, Meriam finisce in carcere con il piccolo Martin. Subito comincia una mobilitazione internazionale, dalla Gran Bretagna all'Italia, in sostegno della donna cresciuta come cristiana ortodossa, religione della madre, mentre il padre, musulmano, aveva abbandonato presto la famiglia. Amnesty International definisce la condanna "ripugnante, orrenda, agghiacciante" e la donna una "prigioniera di coscienza".
La ong Italians for Darfur avvia una raccolta firme per sospendere la pena di morte. Il quotidiano Avvenire lancia una campagna su Twitter, #Meriamdevevivere, alla quale si unisce anche il premier Matteo Renzi. Numerose ambasciate occidentali e varie ong scendono in campo a sostegno della donna. A metà maggio, nella vicenda si apre uno spiraglio con la notizia che Meriam avrà un nuovo processo da parte della Corte Suprema e che dalla nuova sentenza sarà esclusa la pena di morte. Ma la donna resta in carcere e quattro giorni fa dà alla luce una bambina, Maya. Un parto difficile, nell'infermeria della prigione e, secondo il racconto del marito Daniel, con le gambe incatenate.
Oggi finalmente la notizia che Meriam sarà liberata entro pochi giorni, a poche ore dall'ennesima condanna, stavolta arrivata dal premier britannico David Cameron che ha parlato di un atto "barbaro", "non accettabile nel mondo moderno", dove la "religione è tra i diritti umani fondamentali". L'imminente scarcerazione della donna è stata confermata anche da Italians for Darfur. Antonella Napoli, responsabile dell'ong italiana, dopo aver parlato con l'avvocato di Meriam, Mohammed Abdulnabi, del collettivo Sudan Justice Center ha spiegato che "cadono la accuse in quanto la costituzione ad interim del Sudan riconosce la libertà religiosa". Un altro avvocato del collettivo, Al Shrif, è stato più prudente, parlando di una scarcerazione "non prima di due settimane".
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