C'è "ottimismo" nella base di polizia 'Tana Delta' a Garsen sulla liberazione di Silvia Romano, la volontaria italiana rapita la scorsa settimana in Kenya. Lo riferisce all'ANSA uno dei responsabili. Nella base, dove opera il centro di coordinamento dell'operazione per liberare la ragazza, camionette cariche di agenti e militari sfrecciano dirette verso le zone boschive nei dintorni, dove i rapitori sarebbero oramai stati "accerchiati". In queste ore la moglie di uno dei sequestratori, arrestata domenica scorsa, starebbe "attivamente" collaborando.
"Quanto sta accadendo in Kenya è un fatto molto grave: una nostra connazionale è stata rapita. Noi lavoriamo in costante contatto con le autorità del Kenya per le ricerche che vengono effettuate e siamo assolutamente motivati a fare tutto il necessario per riportare la nostra compatriota a casa". Lo ha detto il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi che ha ribadito la necessità di mantenere "un doveroso riserbo per consentire alle indagini di andare avanti e arrivare a un risultato positivo".
I rapitori della volontaria italiana "volevano un riscatto lampo, ma Silvia non aveva soldi né il telefono. Qualcuno allora voleva lasciarla libera, ma gli altri si sono rifiutati". Ha raccontato all'ANSA James, un ragazzo nigeriano la cui istruzione è sostenuta dalla onlus per cui lavora Silvia Romano, testimone dei minuti drammatici del rapimento.
"Silvia piangeva disperata, urlava 'aiutatemi' mentre veniva trascinata via dagli uomini armati. Erano almeno in 4, li abbiamo seguiti ma hanno iniziato a sparare per tenerci lontano. Noi avevamo solo i coltelli".
"Se fossero stati Shabaab somali o estremisti islamici avrebbero potuto fare tranquillamente una strage, uccidendo chiunque si fossero trovati davanti", insiste James parlando con l'ANSA: "La gran parte degli abitanti si trovava nella 'guest house' che sorge di fronte alla struttura, una delle poche non di fango nel villaggio, nella quale per anni sono stati ospitati volontari da tutto il mondo.
"Bastava tirare una bomba lì" e non un ordigno a dir poco artigianale che hanno fatto esplodere in mezzo alla strada. James conferma, assieme al capo villaggio e tanti altri ragazzi, che Chakama "da anni non registrava alcun episodio di violenza. E' un posto tranquillo", dove è evidente che la vita si svolge nei pochi metri quadrati della 'piazza'. E' per questo, secondo i residenti, che "questo gruppo di criminali affamati di soldi facili ha scelto di colpire nel villaggio": a Chakama non c'è nulla, se non le poche cose messe in piedi dagli abitanti e dalle ong. Non c'è alcuna presenza militare o di polizia, "del resto nessuno ne ha mai sentito la necessità".
Secondo i testimoni oculari, il gruppo di rapitori dopo aver trascinato la ragazza a forza via dal villaggio "le ha intimato di pagare un riscatto immediato: le hanno detto di chiamare in Italia e di farsi dare i soldi. Ma il telefono era rimasto in casa, e lei non aveva neppure uno spicciolo". Uno di loro "parlava inglese e traduceva agli altri" e quando hanno capito che non potevano avere i soldi subito "hanno pensato di liberarla, ma alcuni si sono rifiutati dicendo 'che lo abbiamo fatto a fare allora?'". Successivamente, in maniera a dir poco rocambolesca, il gruppo e riuscito a dileguarsi, ricevendo l'aiuto di "qualcuno in moto".
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