Mentre sembra scontato il successo
alle presidenziali di domani del presidente uscente Kais Saied,
in Tunisia ci si interroga in questa giornata di silenzio
elettorale sul possibile tasso di affluenza al voto, che in
qualche modo potrà legittimare in maniera più o meno forte,
anche a livello internazionale, la sua riconferma alla testa
della Repubblica.
Posto che la legge elettorale impone il divieto assoluto di
sondaggi, tra le opposizioni filtra la volontà di boicottare il
voto, oppure di prediligere un voto di contrapposizione per uno
dei due rivali dell'attuale presidente. Saied, professore di
diritto costituzionale, era stato eletto nel 2019 con quasi il
73% delle preferenze (e un'affluenza intorno al 58%) e la
promessa di ripristinare l'ordine dopo 10 anni di declino
economico e instabilità politica. Saied godeva ancora di una
forte popolarità il 25 luglio 2021, quando prese di fatto i
pieni poteri, ma in tutte le tornate elettorali successive il
tasso di affluenza è andato abbassandosi, dal 30,5% del
referendum costituzionale del 2022 fino all'11,4% delle
legislative del 2022/23.
Si è giustificato questo trend affermando che i 12 milioni di
tunisini si sono progressivamente disaffezionati dalla politica
(complice anche la perdita d'importanza dei partiti politici nel
nuovo sistema di Saied), impegnati piuttosto con l'alto costo
della vita quotidiana, elevata inflazione (intorno al 7%), bassa
crescita (intorno all'1%) ed elevata disoccupazione (16%),
specie tra i giovani (41%), di cui oggi sette su 10 intendono
lasciare il Paese legalmente o illegalmente (fonte Arab
Barometer, agosto 2024).
Sono proprio i giovani ad essere i più disillusi, consci che
il loro voto non influirà sulle dinamiche del Paese e intenti in
gran parte a cercare un futuro migliore altrove. Alcuni tuttavia
hanno intenzione di rimanere per cambiare le cose dall'interno
ma sono pochi. Sono quelli impegnati, per esempio, nelle decine
di associazioni che compongono la 'Rete tunisina per i diritti e
le libertà' che ieri sono scese in piazza nel centro della
capitale per lamentare restrizioni nei diritti fondamentali e la
mancata legittimità del processo elettorale. Giovani che erano
ancora troppo piccoli nel 2011, anno della cosiddetta
Rivoluzione dei gelsomini nell'ambito del più ampio processo
delle Primavere arabe. Ma comunque ancora troppo pochi e senza
leader per costituire un'alternativa concreta al potere in
carica.
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