Fino a pochi anni fa, una visita della leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi in Cina sarebbe stata impensabile. Oggi, invece, è sbarcata a Pechino per una visita di cinque giorni la donna cha ha sfidato i militari birmani, ha ricevuto il Nobel per la Pace - istituzione poco popolare in Cina per i riconoscimenti tributati al Dalai Lama e al dissidente in carcere Liu Xiaobo - ed è ammirata in Occidente come combattente per la democrazia.
Secondo voci difficili da confermare nel gruppo dirigente cinese, si sarebbero manifestate opinioni diverse sull' opportunità di invitarla. Alla fine, l'invito alla leader dell'opposizione birmana è venuto non dal governo cinese ma dal Partito Comunista, che ha annunciato che non fornirà dettagli sui suoi colloqui col presidente Xi Jinping e col premier Li Keqiang e che agli eventi connessi alla visita saranno ammessi solo alcuni media di Stato accuratamente selezionati. Il governo di Pechino è stato negli anni scorsi un ferreo alleato della giunta militare della Birmania (o Myanmar, come la giunta l'ha ribattezzata), che ha tenuto la leader dell'opposizione agli arresti domiciliari per oltre 15 anni. Ma il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (Ndl), potrebbe vincere le elezioni in programma a novembre e assumere un ruolo di primo piano nelle relazioni con la Cina. Un portavoce della Ndl, Nyan Win, ha precisato che Pechino ha cominciato ad avere contatti regolari con l' opposizione dopo le elezioni del 2012, cosa che "fino a due anni prima era estremamente rara".
Negli ultimi mesi, l'esercito birmano sta combattendo contro i ribelli nella regione del Konkan, al confine tra i due Paesi, e migliaia di birmani di etnia cinese hanno trovato rifugio nella provincia cinese dello Yunnan. In almeno due occasioni i militari dei due Paesi sono stati a un passo dallo scontrarsi. La Cina è in concorrenza con gli Stati Uniti e i loro alleati per l'influenza sulla Birmania e potrebbe cercare di sfruttare l'ombra che si è stesa sul prestigio di San Suu Kyi per aver taciuto sulla situazione dei musulmani di etnia Rohingya, perseguitati dalla maggioranza buddhista alla quale appartiene la leader democratica. Pechino rischia di rimanere isolata nella regione a causa della sua posizione intransigente sulle frontiere marittime, che l'ha messa in rotta di collisione con importanti vicini come il Giappone, le Filippine e il Vietnam, tutti Paesi che hanno solide relazioni con gli Usa. Nicholas Farrelly, studioso australiano della Birmania, ha sottolineato che "Aung San Suu Kyi sta cercando di vincere le elezioni. Si rende conto pragmaticamente di quello che è in gioco e sa di non poter indulgere in sentimentalismi", ma che la Cina "giocherà un ruolo importante nel futuro della Birmania".
Si ritiene che nei colloqui le due parti non potranno fare a meno di affrontare i problemi della Myitsone Dam, una gigantesca diga progettata da un'impresa cinese la cui costruzione è bloccata dal 2011 per timore di danni ecologici e della miniera di rame di Letpadaung, chiusa per la stessa ragione. Secondo il professor Zhao Gancheng dello Shanghai Institute for International Studies, citato dal Global Times di Pechino, è vero che "l'ideologia di San Suu Kyi è filo-occidentale per educazione, matrimonio e cultura politica. Ma questo non sarà mai un problema per la Cina". "Il mondo politico della Birmania sta attraversando cambiamenti profondi e l'influenza del suo partito appare destinata a crescere" e "questo dà una forte spinta alla Cina per tenderle una mano", aggiunge.
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