Una decina di esplosioni in cinque località, per un totale di 4 morti e circa 40 feriti tra cui due italiani. Nel giro di neanche ventiquattro ore, il sud della Thailandia ha registrato una serie di attacchi coordinati senza precedenti: tutte bombe di piccola portata, alcune trovate inesplose, con un mandante però ancora incerto. In mancanza di rivendicazioni, il governo punta sulla pista della politica interna incolpando l'opposizione, ma dando l'impressione di voler innanzitutto rassicurare i turisti in un periodo di intensi arrivi dall'Europa. La prima bomba è esplosa ieri pomeriggio a Trang, nell'estremo sud, causando un morto. All'inizio si pensava fosse una questione locale. Ma dalla doppia deflagrazione di ieri sera nella meta turistica di Hua Hin, lo scenario è cambiato. Il secondo dei due ordigni è esploso in una via affollata, uccidendo una venditrice ambulante e ferendo 20 persone, tra cui nove turisti europei, due dei quali italiani.
Il genovese Andrea Tazzioli, 51 anni proprio ieri, è stato colpito alla schiena da una scheggia, che gli è stata estratta d'urgenza. "Ero a due metri dalla bomba, mi sono girato proprio un istante prima", ha raccontato all'ANSA. L'altro connazionale, un ragazzo di 21 anni, Lorenzo Minuti, è stato dimesso già ieri in serata. Questa mattina la strategia coordinata degli attacchi è diventata evidente. Nel giro di un'ora, un altro ordigno a Hua Hin ha causato un morto e quattro feriti. Altre due bombe sono esplose a Surat Thani, con un'altra vittima. Due ordigni minori sono scoppiati anche a Phuket, causando un ferito. Altre due bombe sono state segnalate a Phang Nga, e degli ordigni inesplosi sono stati identificati e disinnescati dagli artificieri in varie località. Considerando anche una serie di incendi scoppiati nella notte in quattro negozi e mercati, le autorità hanno contato sette province colpite dagli attacchi. Il problema è capire chi è stato, e il rischio è che non lo si saprà mai. La serie di esplosioni ricorda quella del 31 dicembre 2006 a Bangkok, anch'essa mai rivendicata, che causò un bilancio simile.
Le autorità di Bangkok sembrano preoccupate innanzitutto di non usare la parola "terrorismo", temendo gli effetti su un settore turistico che accoglie 30 milioni di stranieri all'anno e contribuisce a oltre il 10 per cento del Pil. Se la pista islamica internazionale sembra esclusa, una delle possibilità sarebbe quella del separatismo della minoranza musulmana nell'estremo sud: dal 2004 la loro guerriglia ha causato oltre 6.500 morti, molti dei quali vittima di ordigni simili a quelli esplosi tra ieri e oggi. Ma tali violenze si sono concentrate sempre in poche province al confine con la Malaysia. L'altra pista, ed è quella su cui punta con più forza il governo, è quella del "sabotaggio locale", con accuse indirette alla dissidenza contro la giunta militare, ossia il campo fedele all'ex premier Thaksin Shinawatra. Il fatto che cinque giorni fa il Paese abbia approvato una controversa Costituzione fortemente voluta dai militari rafforza questa ipotesi, così come il fatto che oggi in Thailandia si festeggia l'84esimo compleanno della regina Sirikit. Con l'esercito che è il primo difensore della monarchia, e con le divisioni sociali e politiche dell'ultimo decennio semplicemente spinte sotto il tappeto dalla giunta sotto lo slogan della "riconciliazione nazionale", la data è altamente simbolica per chi volesse lanciare un messaggio politico. Va rilevato, in ogni caso, che tale versione fa anche comodo alla giunta per rilanciare il bisogno di stabilità. Che a due anni dal colpo di stato in teoria lanciato per riportarla, in Thailandia è ancora lontana.
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